La massiccia presenza di cinghiali ormai visibile non solo nelle campagne ma anche nei centri abitati di Corigliano-Rossano e della Sibaritide non è un fenomeno casuale. A spiegarne le cause è Lorenzo Cara, delegato dell’Associazione Venatoria Libera Caccia, che parla di «una conseguenza diretta delle scelte dell’uomo e della siccità che ha colpito l’entroterra».

«L’incremento del numero dei cinghiali – spiega Cara – è dovuto in primis alla nostra superficialità. Abbiamo immesso selvaggina non autoctona: i cinghiali originari del nostro territorio partorivano al massimo cinque cuccioli, quelli provenienti dall’Est Europa arrivano a dieci o undici. È chiaro che, con questa prolificità, i numeri sono esplosi».

Il rappresentante venatorio descrive un equilibrio ecologico alterato da introduzioni artificiali e da un ambiente sempre più ostile nelle aree interne. «La siccità ha aggravato la situazione. Nelle zone collinari e montane, come il bacino del Pathirion, è venuta a mancare l’acqua. Questi animali hanno un olfatto finissimo: sentono l’odore dell’acqua a chilometri di distanza. Così si sono spostati verso la valle, trovando negli agrumeti un habitat perfetto».

Una volta raggiunta la pianura, i cinghiali hanno trovato rifugio e cibo in abbondanza. «Negli agrumeti – racconta Cara – hanno potuto alimentarsi e riprodursi indisturbati. Per un periodo non sono stati scoperti dai cacciatori, e questo ha permesso alla popolazione di aumentare a dismisura».

L’aumento esponenziale della popolazione di cinghiali nella Sibaritide mette a serio rischio l’economia agricola della zona oltre a preoccupare i cittadini.

Il risultato è oggi visibile: branchi che attraversano le strade urbane, campi devastati, danni economici che si contano in migliaia di euro. «Non sono animali pericolosi in sé – precisa – ma bisogna fare attenzione alle scrofe con i piccoli. Se si tocca un cucciolo, la madre può reagire per istinto, come qualsiasi altro animale selvatico. Il vero problema è che causano danni enormi alle coltivazioni e agli allevamenti».

Secondo Cara, il fenomeno ha bisogno di una gestione diversa e più coordinata. «Il legislatore è intervenuto solo in parte, istituendo la figura dei selettori, che consente di intervenire anche nei periodi di caccia chiusa. Ma gli abbattimenti richiesti sono altissimi e difficili da realizzare. Servono battute organizzate, squadre numerose, territori chiusi e controllati».

Il delegato di Libera Caccia chiede un approccio realistico, lontano dalle semplificazioni: «Non basta dire “abbattiamo di più”. Occorre una pianificazione seria, che tenga conto del territorio e delle risorse umane. Anche perché gli abbattimenti di massa senza coordinamento rischiano di essere inutili».

La questione dei cinghiali, sottolinea, tocca vari aspetti della vita quotidiana nella Sibaritide. «Parliamo di sicurezza stradale, di agricoltura, di equilibrio ambientale. Questi animali distruggono i raccolti, scavano nei terreni, danneggiano le infrastrutture rurali. È necessario un piano condiviso tra amministrazioni, associazioni venatorie e mondo agricolo».

Per Cara, la soluzione passa attraverso una presa di coscienza collettiva: «Serve una visione ampia. Finché continueremo a intervenire solo sull’emergenza, il problema non si ridurrà. Bisogna lavorare sul controllo della popolazione, sul ripristino delle risorse idriche, e soprattutto sul rispetto dell’ecosistema».

Il fenomeno, partito dalle alture, è ormai una realtà costante a valle, fino ai quartieri urbani di Corigliano-Rossano. «Dove trovano acqua e cibo, restano – conclude Cara – e se non si agisce con metodo, la presenza diventerà strutturale. Non è più un fatto straordinario, ma il segno di un equilibrio spezzato».