Da quando Carl Weathers è passato a miglior vita, i social (o almeno la mia “bolla”) sono pieni di meme sulla saga di Rocky. Una di quelle cose per cui andavo matto da bambino, quando cioè i nostri genitori ci consentivano, senza grossi patemi, la visione di film e cartoni animati violentissimi (poi capisci perché il mondo ha preso ‘sta piega). E che, tuttavia, credo abbia contribuito a rendermi consapevole di una cosa: la fine è sempre più importante dell’inizio.

Prendete l’incontro con Ivan Drago: Rocky deve attendere il quattordicesimo round per avere la meglio sul sovietico. O la seconda sfida con Apollo Creed, quando la vittoria viene decretata solo dalla capacità di Rocky di alzarsi dal tappeto un attimo prima dell’avversario.

Ecco, questa invece me l’ero persa. Cioè, per me la saga di Rocky termina al capitolo quattro – il resto non l’ho mai neppure voluto vedere. E quindi sì, sapevo dell’uscita di Creed, ma l’avevo schivato. E invece mi ritrovo questo scambio bellissimo (recitato, per la verità, da cani) tra Balboa e il figlio di Apollo.

Time is undefeated è sintesi clamorosa della vita e, in piccolo, di ciò che è accaduto nei minuti finali di Cosenza-Pisa. Premessa doverosa: se dopo la sconfitta di Cremona, ci avessero proposto a scatola chiusa 7 punti nelle successive tre gare, avremmo firmato tutti col sangue. E dunque, a conti fatti, l’1-1 maturato con la squadra di Aquilani non è un dramma. 

Svolgimento: ho trovato opinabili, ma ragionevoli, i cambi per i quali Caserta è stato tanto criticato. Florenzi e (un ottimo) Zuccon escono dal campo cinque minuti prima del gol di Tutino (Calò era già entrato all’intervallo per evitare a Prazselik l’espulsione). Il che significa: spostamento di Gennaro sulla trequarti, con Forte che diventa punta. Aquilani risponde aggiungendo un attaccante (Piccinini) e, poco dopo, un centrocampista esperto dai piedi buoni (Veloso). Infine, butta nella mischia Torregrossa e Masucci per tentarle proprio tutte.

Le contromosse di Caserta, tra questi due slot nerazzurri, sono gli ingressi di Viviani e Antonucci. E, se col senno di poi possiamo dire che Tutino non sarebbe dovuto uscire mai dal campo, è altrettanto chiaro l’intento del mister: privilegiare l’ingresso di calciatori freschi in grado di giostrare o “sequestrare” la palla nei minuti finali.

Per un’operazione del genere, serve un tecnico in stile Duke. E invece l’incapacità del Cosenza in quei maledetti dieci minuti finali è arrivata proprio quando in campo c’erano alcuni tra i calciatori più esperti. Se ad Antonucci si può riconoscere l’attenuante di chi era appena arrivato in città, altrettanto non si può dire di Calò e Forte. E questo, badate bene, non lo scrivo per puntare il dito contro questo o quel calciatore e metterlo alla berlina, ma per tentare di analizzare quel che è successo.

Che secondo me è semplice: un’avversaria, che si era sentita penalizzata da un rigore non concesso, da un’espulsione e da un mancato cartellino rosso, ha avuto gli attributi fumanti nei minuti decisivi. E noi, che li credevamo già morti, non ce l’aspettavamo. L’importanza della fine, appunto. Il Pisa aveva un calciatore perfetto per gestire i calci da fermo (Veloso) e le nostre linee di gioco erano, invece, dannatamente schiacciate.

Quel che sto per aggiungere è opinabile, ma io credo sia l’unica spiegazione. Il Cosenza di Caserta è una squadra che vive di dinamismo. E non a caso i calciatori davvero centrali nel suo progetto sono gente come Marras, Tutino, Zuccon, Mazzocchi. Il momento in cui la gara è costretto a gestirla diventa pertanto il più difficile, perché va a smarrire proprio quello che è il suo dna.

Eppure deve apprendere a usarlo, questo registro, proprio come fece Rocky con Apollo. Quando quest’ultimo lo riporta nella vecchia palestra e lo rivolta come un calzino, facendolo diventare un pugile più veloce, insegnandogli lo stesso stile di combattimento che ha reso famoso Creed.

Quello che manca al Cosenza – e, per come la vedo io, che non sono undefeated e spesso prendo delle cantonate clamorose, questo è un momento decisivo per capire se possiamo diventare quel tipo di squadra o no – è trasferire l’intensità, che una parte importante della formazione ha già incamerato, al resto dell’organico. E, viceversa, la capacità di gestire la gara senza tribolazioni dai più esperti ai più giovani.

Modena magari non sarà lo snodo cruciale della stagione, ma il rientro in gruppo di Canotto (sperando che abbia finalmente recuperato dai malanni che lo hanno tenuto ai margini finora) è un tassello importante in questo progetto. Un altro tocca metterlo ai tifosi. L’avevo scritto: non è possibile fare un dramma per ogni mezzo passo falso. Il Cosenza non è un carro armato, non è undefeated, non è Ivan Drago e non aspira a diventarlo. Io però credo che una chance ce l’abbia. Ed è quella di imparare ad alzarsi dal tappeto un attimo prima di un qualsiasi Apollo Creed.