Il ragazzo studia. Quando eravamo a scuola, tra i banchi, esistevano varie tipologie. Il secchione. Quello bravo che non si applica. I ripetenti. E poi c’erano quelli che facevano il compitino. Senza infamia e senza lode. Bene o male che gli andasse, avevi la sensazione che potessero fare di più.

A rivedere il derby contro il Catanzaro la struggente sensazione è stata proprio questa. Un primo tempo nel quale il Cosenza avrebbe meritato il pareggio. Una ripresa in cui il gol di Biasci ha tagliato le gambe a tutti. Sarebbe ingeneroso buttar via il bambino e l’acqua sporca: per larghi tratti, abbiamo visto la squadra giocare, manovrare, gestire bene il possesso palla, costruire un paio di occasioni (il palo di Tutino su tutte) che avrebbero meritato più fortuna. Un “compitino” al quale è difficile dare meno di 6. Ma un “compitino”, appunto. Niente di più.

Capire cos’è successo è l’unica chiave per evitare che si ripeta. Cominciamo proprio dal match.

Alla vigilia Caserta aveva immaginato un Catanzaro arrembante e un Cosenza obbligato a impattare bene. È accaduto esattamente l’opposto. Gli uomini di Vivarini sono stati infatti molto attendisti, volgendo in loro favore la buona circolazione di palla dei nostri per colpire in verticale. Il centrocampo giallorosso ha sovrastato il nostro. E proprio da una transizione interrotta, con D’Orazio tagliato fuori e nessuno a coprirgli le spalle, è nata la rete dell’1-0.

Ormai l’abbiamo capito: Caserta è un tecnico che preferisce lavorare sui pregi dei propri calciatori piuttosto che sui difetti degli avversari. Ma quali sono i nostri pregi? Una certa solidità difensiva: siamo il sesto reparto meno battuto, finora. La capacità di andare a segno con tanti elementi diversi testimonia il coinvolgimento al gioco di tutti i reparti. E poi, ce lo ripetiamo da tempo, l’abbodanza di soluzioni offensive.

Quest’ultima si è elevata a potenza con gli arrivi in chiusura di mercato di Canotto e Forte. Il primo, tuttavia, è sceso finora in campo due volte sole da titolare e poco più di trecento minuti in tutto. L’acuto di Palermo aveva illuso un po’ tutti, ma non si è ripetuto. Che il calciatore non sia (ancora?) centrale nel progetto tecnico è un dato di fatto. Le ragioni le conoscono solo il mister e lo spogliatoio, ma le prestazioni non stanno determinando (ahimè) grossi rimpianti. Almeno finora.

Dal secondo (titolare inamovibile, Pisa a parte) ci aspettiamo caterve di gol, ma per ora ne ha messo a segno solo due. E se andiamo a esaminare le partite dal Sudtirol in poi, ci accorgiamo che in dieci incontri Caserta ha schierato sette diverse combinazioni d’attacco. Quella più ricorrente (Tutino-Mazzocchi-Marras alle spalle di Forte) ha fruttato due vittorie (Lecco e Palermo, dove però la rete decisiva è arrivata dalla panchina) e una sconfitta (Sampdoria). Marras e Tutino sono rientrati in otto e sette formazioni titolari, ma il dato di fatto è uno solo: u Squalu, e cioè il principale terminale offensivo del Cosenza, finora ha inciso per meno di un terzo delle reti segnate dal suo arrivo.

Le caratteristiche di Forte sono quelle di una prima punta classica. Pronta anche a rientrare in copertura, ma nato per presidiare l’area. Un attaccante, dunque, che va imbeccato con i cross più che attraverso la manovra, negli spazi più che nel gioco stretto. Da qui, per esempio, l’importanza di impiegare Voca sulla trequarti, per le sue qualità di recupero palla.

Eppure, le caratteristiche delle mezzepunte a disposizione di Caserta rispondono proprio al secondo identikit (manovra e sponde strette). E l’attaccante che meglio si confaceva a questo sistema di gioco era proprio Mazzocchi. L’ex atalantino aveva dimostrato una migliore capacità di associarsi con la batteria dei trequartisti (e soprattutto con Tutino). Inoltre, anche quand’è partito dalla panchina, ha saputo sbrogliare matasse difficili.

Dal punto di vista tattico, dopo la sconfitta nel derby, siamo dunque di fronte a uno sliding doors. Dico sul serio, perché ne ho viste tante di stagioni partite sotto una buona stella e poi riacciuffate per un soffio. Ci mette poco una squadra a entrare nel tunnel dei mancati risultati, una classifica a farsi corta, un obiettivo ad allontanarsi.

A derby concluso vi avrei detto adesso deve tornare titolare Mazzocchi. Dirottare u Squalu in panchina, per farlo entrare nei secondi tempi e sfruttare la sua fisicità contro avversari più stanchi. E, per quanto mi riguarda, è la soluzione che adotterei domani.

L’alternativa, più rischiosa, potrebbe essere quella di riportare Voca in mediana e prediligere al centro della trequarti uno come Florenzi. Ovvero un calciatore in grado di incunearsi tra i reparti avversari in velocità per andarlo a cercare, uno come Forte. Oppure di trovare l’uno due con gli altri compagni di reparto. Ipotesi che, tuttavia, necessita di un Nuciddra in grandissimo spolvero.

È vero, siamo ancora nella prima metà della classifica, ma in una graduatoria che si è spaccata. Due squadre in testa, altre sei nel giro di soli tre punti, nove formazioni in otto punti e due fanalini di coda.  E il Cosenza, ad oggi, è a cavallo tra secondo e terzo gruppo. Le ultime quattro giornate d’andata, e cioè le sfide che seguono quella con la Ternana, determineranno da quale parte del confine ci troveremo a giocare da gennaio in poi. Se cioè saremo ancora una squadra da “compitino” oppure ci decideremo a fare questo benedetto salto di qualità.