Non c’è posto per te nella top five! Sono posizioni riservate a un tipo di sofferenza che non sei in grado di suscitare!, urla Rob Gordon all’inizio di Alta fedeltà alla sua ex Laura. Avrà tempo per ricredersi sulle delusioni amorose. E, chissà, forse anche noi. O almeno io. Se dovessi stilare la mia top five di quelle calcistiche legate al Cosenza, avrei pochi dubbi. Nell’ordine: 2000/01, 1988/89, 1991/92, 1992/93 e 1994/95.

Parliamo, va detto, di stagioni in cui le promozioni erano quattro e tutte dirette, senza playoff. Eppure, mentre lo scrivo, mi rendo conto che almeno tre su cinque non sono delusioni in senso stretto – cioè, non arrivammo davvero fino in fondo al punto di rottura della storia. Solo con Bruno Giorgi e Edy Reja in panchina finimmo per giocarcela fino all’ultima giornata.

Ad ogni modo, forse mai davvero nella storia abbiamo vissuto una situazione così assurda come in questa stagione appena conclusa. Alla tredicesima giornata (ovvero: un terzo del campionato): ottavi insieme al Cittadella. Alla ventesima: appena un punto sopra la zona playout. Cinque turni più tardi, dopo la vittoria di Lecco, a due punti dai playoff. Dopo la sconfitta col Brescia, di nuovo in zona playout. Sabato scorso, infine, dopo la seconda perla di Tutino, tutti col fiato sospeso per il check var su Vergara a Marassi, nella speranza di poter agguantare quel maledetto ottavo posto.

Ho fatto fatica a tenere il punto, durante la stagione, ma quando scrivevo che questa squadra era da playoff ne ero sicuro (e posso dire che avevo ragione). Troppe carenze d’organico fino a gennaio e troppi punti persi per strada nei momenti chiave hanno inficiato la sua crescita. Con tutti i loro limiti (tanti) Sampdoria, Brescia e Palermo sono state più regolari.

Ero altrettanto sincero e preoccupato quando ho temuto il playout, visto come si stavano mettendo le cose tra marzo e aprile. È stato qui, invece, che la squadra ha finalmente svoltato. Quando cioè ha adeguato la sua mentalità di gioco alla lotta per la retrocessione. Caserta pretendeva il controllo continuo della gara, senza che i suoi ragazzi ne fossero in grado e finendo per rincorrere spesso la partita. Al di là dei moduli, Viali ha ceduto (spesso per ampi tratti) quel controllo agli avversari, riuscendo tuttavia a gestire così le partite in modo più equilibrato. Le partite, ripete un mio amico, sono fatte di fasi. Come le scene di un film, aggiungo io: non tutte possono essere recitate allo stesso modo.

Questa stagione ci insegna, infine, che il 70% della bontà di una decisione non è determinata dalla decisione medesima, ma dal suo tempismo. L’esonero di Caserta, che a fine dicembre ci sembrava giusto, a metà gennaio sarebbe parso intempestivo. Alla fine è arrivato a marzo, quando in molti sostenevano che fosse troppo tardi, mentre invece è stata forse l’ultima chiamata utile per salvarci la pelle.

Nella top five di Alta fedeltà spicca senza dubbio Charlie, interpretata nel film da una meravigliosa Catherine Zeta-Jones: troppo bella, troppo colta, troppo tutto. Ma alla fine sarà proprio Laura a entrare di prepotenza al primo posto e a far capire a Rob tutti i suoi errori precedenti. E Gennaro Tutino è Charlie Nicholson e Laura al tempo stesso.

Nell’assoluto stato di grazia dell’ultimo mese, in clamoroso contrasto con la successione di pali e traverse colpiti in precedenza e i risultati altalenanti di una squadra che gli girava intorno a vuoto, i 19 gol di Tutino (sette consecutivi nelle ultime sei gare) ci hanno fatto rivivere sensazioni che, a Cosenza, mancavano da troppo tempo. È vero che una sua permanenza non sarebbe comunque la panacea di tutti i mali: un solo calciatore non fa una una rosa intera. Ma vorrei dire anche che, se non eserciti il diritto di riscatto su Tutino dopo una stagione così, non ti meriti nessuna Charlie Nicholson sulla Terra. E, siccome tutto questo è già accaduto, in scala ridotta, con La Mantia nel 2016, sarebbe bene non commettere lo stesso errore.

Tutino, nel luglio scorso, è stato il tassello che ha smosso il mercato del Cosenza. Riscattarlo significherebbe avere in mano uno dei pezzi da novanta del prossimo mercato di serie B. Nessuno nega che l’operazione sarebbe molto onerosa per la società. Ma questo (trovare sul mercato, attraverso alcune cessioni, le coperture per un investimento del genere) è il compito di un direttore sportivo. E io vorrei che Gemmi stesse già lavorando su questo, anziché tessere contatti con altri club in vista della scadenza del suo contratto, alla (legittima) ricerca di lavoro.

Valutato nell’arco dei due anni, il lavoro del ds è andato in crescendo. Certo, non sono mancati i passaggi a vuoto: un anno fa i vari Gozzi, Finotto e Zarate; stavolta i flop Canotto e Forte. Ma il dato di fatto è che, rinnovando anche Meroni e Voca, il Cosenza di domani partirebbe da un undici titolare quasi accettabile: Micai; Venturi Camporese Meroni; Martino Florenzi Calò Voca D’Orazio; Tutino Marras. Chiaro, ci sono quattro over 30 e la coppia d’attacco finale è una boutade, ma è molto più di quel che siamo stati abituati a vedere. Inoltre credo che a Zuccon non farebbe male un’altra stagione in B e che Mazzocchi e Antonucci, a certe condizioni, non siano irraggiungibili. Senza dimenticare che tra le retrocesse in C ci sarà parecchio da pescare. Ce n’è abbastanza per trattenere Gemmi, dare continuità al suo lavoro e impostare con Viali la prossima stagione.

Alta fedeltà si chiude con Rob Gordon che fa una roba del secolo scorso, ovvero registra una musicassetta per Laura, la sua ragazza. Conosco i suoi gusti e cercherò di farla felice, spiega, e per la prima volta, so di poterci riuscire. Il tempismo è (quasi) tutto nella vita e io esco da questa stagione con un dubbio e una certezza. Il dubbio è: quando ci ricapiterà un’occasione per disputare i playoff, come avrebbe potuto accadere quest’anno? La certezza è che mai come adesso sarebbe possibile costruire una squadra ambiziosa. Chi può, ne tragga le conseguenze.