Tra il quartiere in cui abito a Firenze, San Iacopino, e via Mariti, quel cantiere Esselunga nel quale venerdì scorso hanno trovato la morte cinque operai, ci sono cinque minuti e venti secondi esatti a piedi. È una distanza che non ho calcolato: è semplicemente accaduta. Nel tragitto di ritorno verso casa, per non allontanare l’orrore appena raccontato, a fine giornata ho messo le cuffie alle orecchie e ho scelto una canzone da ascoltare. E il pezzo era questo.

Le vittime: un italiano, quattro immigrati tunisini e marocchini in trasferta dalla Lombardia. Uno o due, forse, irregolari. Quindi lavoratori ricattabili, costretti al silenzio se mai avessero notato qualcosa di strano. Nell’edilizia (e non solo) è così. Di un cantiere spesso sai i numeri, ma le facce cambiano continuamente, perché le ditte fanno rimbalzare gli operai da un posto all’altro come palline da flipper.

Vittime del massimo ribasso, della fretta, del profitto. Vittime di tutti noi, aggiungo. Perché quel mondo “sotto costo”, a portata di mano e di click, sempre più veloce, siamo noi stessi a desiderarlo. Spesso a pretenderlo.

E la realtà che abbiamo rimosso, pure troppo facilmente, è che fino a settant’anni fa, per usare una metafora calcistica, la maggior parte degli italiani si trovava nel “lato destro della classifica”: quello chiamato a “produrre” il profitto per coloro che stavano sul “lato sinistro”. Eppure lo sapevamo anche noi, insomma, come cantava il compianto Gianmaria Testa.

Con tutti questi pensieri in testa, dunque, spero sarete indulgenti se vi confesso che la partita di Lecco l’ho vista davvero di sghincio. E tuttavia non mi è sfuggito come la quarta vittoria esterna stagionale abbia issato la squadra di Fabio Caserta a quota 32. Per dire: negli ultimi due campionati abbiamo raggiunto il playout con 40 e 35 punti. Tuttavia commetteremmo un errore a non guardarci le spalle, là dove lo Spezia qualche segnale di risveglio per esempio l’ha già dato. E, tanto per restare ai nostri prossimi avversari, fatico a vedere una Sampdoria appesa alla lotta salvezza.

Sarebbe però altrettanto sbagliato non scrutare l’orizzonte. Se il Parma sta facendo davvero un campionato a sé, alle sue spalle si sta creando un quartetto (Cremonese, Venezia, Palermo e Como) che potrebbe contendersi a lungo la seconda promozione diretta. Appena dietro, infine, sei squadre stanno in un segmento di appena sette punti. E io credo che questa situazione, con qualche aggiustamento, potrebbe cristallizzarsi entro primavera.

In questa lotta per gli ultimi tre posti playoff ci sono al momento Catanzaro, Cittadella, Modena, Brescia, Bari e noi. Per i valori visti in campo finora, le squadre di Vivarini e Bianco mi sembrano le “teste di serie” di questo sestetto. Con le altre tre, invece, il Cosenza l’ultimo scalino degli spareggi potrebbe giocarselo davvero.

Se per Jannacci sto Rivera non mi segna più, alle nostre latitudini Tutino sembra aver ritrovato la rete con regolarità. Ma la vera “buona novella” di Lecco mi è sembrata la prestazione di Canotto. Forse la nostra ala, perseguitata finora dagli infortuni, non è ancora al top, ma da qui a maggio può essere un’arma in più fondamentale. Un’altra può essere ricercata in un dato numerico sorprendente: quella del Cosenza, spesso bistrattata, ma a volte anche causa di indiscutibili patemi e fibrillazioni, è la quarta difesa del torneo dopo Cremonese, Parma e Brescia. Vero pure che questi stessi numeri dicono che soltanto sei squadre hanno segnato finora meno di noi. Ed è in questo contesto che nel giro di dieci giorni affronteremo quelle che tutti attendiamo come “prove della verità”: Sampdoria, Parma e Catanzaro.

Cari lettori, chi scrive scelse di “festeggiare” nel 2000 il diciottesimo compleanno sugli spalti notturni del San Vito (anziché, per dire, al Beat o all’Akropolis) per un Cosenza-Ravenna che doveva lanciare i Lupi di Mutti in zona promozione e, invece, terminò 3-1 per gli ospiti. Di “prove della verità” fallite, soprattutto sotto i riflettori, è piena la nostra storia. E quindi credo che capirete bene il mio invito conclusivo.

Noi siamo il Cosenza, amava ripetere Giuliano Sonzogni, e dobbiamo ripetercelo ogni sera. Siamo cioè quelli del “lato destro della classifica”. Lo sappiamo anche noi. E questo non significa arrendersi prima di scendere in campo o accettare la nostra incursione sul “lato sinistro” come occasionale, ma neppure credere che il “lato sinistro” sia il nostro destino. Il campionato è ancora lungo.

È necessario affrontare dunque Sampdoria, Parma e Catanzaro una partita alla volta. Senza esaltarsi per un eventuale “filotto” o abbattersi in caso contrario. Togliendoci cioè una volta per tutte l’ossessione della “prova della verità”. Per evitare di trasformarla in una sentenza nei confronti di una squadra che, nel momento peggiore, ha saputo ritrovare la rotta. E su questa rotta deve poter ritrovare chi la sostiene.

Perché ci sono due modi di stare nel “lato sinistro della classifica” (e, forse, di stare al mondo). Quello sbagliato è desiderarlo ad ogni costo. Quello giusto è non dimenticare chi eravamo. Per poter essere chi siamo.