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Il gup del tribunale di Catanzaro Simona Manna ha di recente depositato le motivazioni che hanno portato alla condanna di alcuni degli imputati dell’inchiesta “Basso Profilo”, quelli che hanno scelto il rito abbreviato. L’indagine, coordinata dalla Dda di Catanzaro, riguarda le presunte condotte illecite di un gruppo imprenditoriale vicino alle cosche crotonesi che avrebbe intestato aziende a “teste di legno” per riciclare denaro sporco. Una tesi che ha retto in parte dinanzi al giudizio del primo giudice di merito, in quanto per i capi d’accusa contestati ai soggetti cosentini è stata esclusa l’aggravante mafiosa.
“Basso profilo”, l’ex assessore Talarico condannato in primo grado
Nelle oltre 300 pagine firmate dal giudice dell’ufficio gip-gup di Catanzaro, competente per i reati di mafia, emergono quindi le presunte relazioni illecite con l’imprenditore Antonio Gallo, che ha scelto di farsi giudicare con il rito ordinario, a differenza dell’ex assessore regionale al Bilancio della Regione Calabria, Francesco Talarico, condannato in abbreviato a 5 anni di carcere per voto di scambio politico-mafioso.
“Basso profilo”, chi sono i presunti “prestanome” in provincia di Cosenza
Tra i presunti intestatari fittizi vi è Francesco Luzzi, figlio di Giulio Docimo, originario della provincia di Cosenza. Luzzi, oltre all’accusa di aver emesso fatture false attraverso l’impresa individuale a lui intestata, era coinvolto anche in un capo d’imputazione relativo all’auto-riciclaggio. Ma non solo. Il gup Manna infatti scrive che «Francesco Luzzi è un soggetto disoccupato e sostanzialmente privo di redditi» e «risulta essere un prestanome seriale, reclutato dal sodalizio per il tramite di Giulio Docimo e stabilmente dedito alle attività illecite di prelevamento per conto dei sodali» si evidenzia nella sentenza.
«Dalle indagini è emerso che, dopo un allontanamento di Giulio Docimo dai traffici illeciti commessi da Gallo», dal pentito Tommaso Rosa e da altri presunti associati, «verso la seconda metà del 2018 Docimo viene di nuovo coinvolto negli affari del sodalizio, e gli viene richiesto di reclutare soggetti cosentini per continuare l’attività illecita». Circostanza, riportano le motivazioni, «confermata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Iaquinta, che riferisce specificatamente che Giulio Docimo procurava una serie di soggetti di Cosenza che dovevano lavorare con loro nelle società fittizie». E ancora. Il gup aggiunge che «anche Tommaso Rosa, in sede di interrogatorio innanzi a questa autorità giudiziaria, ha riferito che dopo l’attenzione delle forze dell’ordine sulle attività del sodalizio e le perquisizioni del mese di maggio del 2018 vi era stata la necessità di intestare le società esistenti ad altri soggetti e che era stato lo stesso Giulio Docimo a riferirgli di aver dovuto coinvolgere nuovi soggetti a lui vicini per metterli a capo di altre società».
Docimo assolto per i capi d’accusa contestati anche al figlio
Relativamente a queste condotte (capi 61 e 62), il gup Manna ha inteso assolvere Giulio Docimo, mentre ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Luzzi. Secondo il giudice, Docimo «non risulta aver contribuito nella commissione dei predetti reati, in relazione a quanto commesso per il tramite della ditta individuale Luzzi Francesco, di cui egli non risulta né titolare formale né gestore di fatto. La condotta di Docimo – secondo il giudice – non integra di per sé gli estremi del concorso nelle condotte materialmente poste in essere da Luzzi, in quanto Docimo non risulta coinvolto neppure indirettamente in tali condotte». «Non vi sono elementi per ricondurre l’operato di Docimo all’operatività dell’azienda in esame, tali da poter essere valorizzati alla stregua di indici rivelatori del contributo dallo stesso fornito alla realizzazione dei capi in esame». Luzzi, difeso dall’avvocato Nicola Rendace, in definitiva è stato condannato a 3 anni e mezzo di carcere.
La figura di Giulio Docimo e la sua presunta partecipazione al sodalizio
Su dodici capi d’accusa contestati dalla Dda di Catanzaro, sei hanno raggiunto la gravità indiziaria ma senza l’aggravate dell’agevolazione mafiosa riconducibile ad alcune cosche crotonesi. Secondo quanto viene riportato in sentenza, Giulio Docimo viene indicato dal collaboratore di giustizia Iaquinta nel giugno del 2019 «quale soggetto cosentino che lavorava per Tommaso Rosa e Antonio Gallo, facendo con loro quelle che lui chiama “truffe”».
Per il gup Manna, le propalazioni dei pentiti «risultano ampiamente riscontrate in atti», in quanto «non vi sono dubbi che il collaboratore Iaquinta si stesse riferendo alla figura di Docimo», dichiarazioni messe in discussione dagli avvocati Luca Acciardi e Francesco Acciardi, difensori dell’imputato cosentino. Dalle carte dell’inchiesta, «è emerso che Giulio Docimo ha ricoperto principalmente il ruolo di “prestanome”, con funzioni anche di prelavatore per conto della consorteria. Dall’interrogazione sulle banche dati egli risulta essere ed essere stato amministratore» di tutte le società «cartiere». Per il gup Manna, in definitiva, Giulio Docimo fa parte dell’associazione semplice. In primo grado ha subito una condanna a 4 anni e 8 mesi di carcere. Le difese, tuttavia, annunciano ricorso in appello.