Il Coronavirus ora fa paura. E fa ancora più paura in Calabria, la regione meno colpita dall’epidemia ma in perenne emergenza sanitaria, virus o non virus. Ospedali come cantieri, personale precario e insufficiente, reparti che cadono a pezzi. Se al Nord, capitale della buona sanità, affannano e si lavora per non collassare, in Calabria si può solo pregare e basta. 

Qui, quando si parla di sanità, sono tre le parole ricorrenti, chiamiamole trend topic: commissario, rientro e fanalino.

#leparolechiave

#commissario è la soluzione che i governi hanno partorito per chiudere il buco milionario calabrese, dalle origini mitologiche, che s’è mangiato un po’ tutto, negli anni, agendo come un ladro professionista. Nessuno ha visto e soprattutto nessuno l’ha visto. Per sapere che volto abbia, accendere la luce adesso serve a poco, perché è già scappato col malloppo. Tocca solo ripartire da zero. E sullo zero, ci siamo.

Il commissario dunque, persona terza, esterna, estranea e spesso decorata, aveva, nelle intenzioni dei piani alti, il compito di rimettere le cose a posto visto che a queste latitudini non eravamo stati in grado di farlo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Tra scandali, nomine discusse e migrazione sanitaria verso il Nord, in Calabria pare che il piano C (commissario) non abbia funzionato.

#rientro, seconda parola chiave, che poi è l’obiettivo. Rientrare del danno, dei debiti, per poi ripartire, rimettere in piedi la macchina, renderla efficiente, pulita, adatta. Ad oggi non un obiettivo, ma una chimera. 

Ed ecco l’ultima parola: #fanalino che si accompagna a “di coda”. Il soggetto è chiarissimo, non serve lambiccarsi il cervello, fa quasi 2 milioni di abitanti ed è in fondo non solo alla coda di qualsiasi classifica, ma anche dello Stivale. 

Facciamo il più classico dei passi indietro e diamo un’occhiata a quello che è accaduto nell’ultimo decennio.

Sanità in Calabria, la voragine esce allo scoperto

Più o meno undici anni fa, la voragine scavata nei conti sanitari venne alla luce. Quando esplosero i casi di malasanità più eclatanti, l’intero Paese si accorse che qui si moriva per un niente. Una ragazza, Federica Monteleone, nel 2007, si spense sotto i ferri per una banale appendicectomia; un’altra giovane, Eva Ruscio (anche lei ricoverata a Vibo e sempre nel 2007) non sopravvisse a una tracheotomia. 

L’allora governatore Agazio Loiero, all’indomani di quella che chiamò «amara coincidenza», insieme all’ex ministro della Salute Livia Turco (che a Cosenza si era precipitata per dare conforto ai genitori della Monteleone) presentò il suo piano per risolvere il “problema ospedali”, annunciando lo stanziamento di 285 milioni di euro per tirare su quattro nuovi nosocomi: nella Sibaritide, a Catanzaro e nella Piana, prevedendo anche l’adeguamento e il completamento del nuovo ospedale di Vibo Valentia, che da solo sarebbe costato oltre 43 milioni di euro. 

Lo Stato avrebbe messo a disposizione 196 milioni di euro, mentre la Regione avrebbe contribuito con quasi 90 milioni. Sulla carta, un bel progetto. Sulla carta.

Dietrofront

Nel 2008, la Corte dei Conti individuò «molteplici ipotesi di danno erariale e correlate responsabilità amministrative». Sprechi, malagestione, nomine discusse. Nella sanità calabrese le voci correlate erano tante, troppe. Con la delibera di giunta regionale 845 del 16/12/2009 fu approvato il famoso Piano dirientro che doveva, a qualsiasi costo, tentare di arginare il danno, nominando un commissario che curasse gli adempimenti che gli organi regionali non erano stati in grado di fare. 

Chiudono gli ospedali in Calabria

La prima conseguenza del Piano fu il blocco nell’assunzione dei precari della sanità (quasi 1200 persone) e l’obbligo di rispondere trimestralmente direttamente al governo sullo stato dell’arte. La “pezza” fu peggio del buco e portò alla chiusura di numerosi ospedali ritenute “zavorre”. I presidi sopravvissuti vennero presi d’assalto dai pazienti costretti a macinare chilometri per curarsi. Seguirono proteste, appelli alle istituzioni per lasciar sopravvivere gli ospedali, ma non ci fu nulla da fare. 

Sanità, due miliardi di guai

Siamo nel 2012, gli obiettivi del piano risultarono non raggiunti, la conseguenza sarebbe pesata direttamente sulla popolazione, con un aumento dell’addizionale Irpef e aliquota Irap. Solo pochi mesi prima, il governatore Scopelliti (anche commissario della Sanità) aveva trionfalmente dichiarato: «Dopo aver individuato la cifra esatta del debito, aver reso credibile ai tavoli romani la nostra Regione, trovato le risorse necessarie per estinguere i pesanti debiti pregressi, l’ultima fase del percorso prevede maggiore efficienza e qualità, sblocco del turn over ed assunzione di medici e personale». 

Dopo questa ventata di ottimismo Scopelliti fu travolto da un tornado giudiziario che ne determinò la decadenza, lasciando la sanità calabrese in un mare di guai. La Calabria contava due milioni di assistiti, 39 ospedali di cui molti al limite in materia di norme igienico-sanitarie, un debito di due miliardi e mezzo di euro

Arriviamo alla gestione di Antonella Stasi (la facente funzioni) e alle nomine di direttori generali di Ao e Asp effettuate in modo illegittimo perché atti di straordinaria amministrazione. Atti condannati anche dal commissario ad acta dell’epoca, il generale della Guardia di Finanza Luciano Pezzi

Scura versus Oliverio

Nel frattempo è già tempo di elezioni. Il nuovo governatore della Calabria, Mario Oliverio, si gioca la sua partita sul terreno scivoloso della Sanità. Ne aspira a diventare commissario ma è gelato da un decreto che sancisce l’incompatibilità tra le due cariche. Dunque arriva Massimo Scura. Un passato da direttore generale dell’Asl 7 di Siena e dell’Asl 6 di Livorno, Scura cerca di prendere le redini di un sistema sempre più al collasso e rimarrà in carica fino al dicembre del 2018.

I rapporti tra Oliverio e Scura non sono proprio idilliaci. Oliverio batte su numeri che danno l’efficienza sanitaria calabrese a picco, specialmente sui Lea (i livelli essenziali di assistenza, cioè tutte le prestazioni, servizi e attività che i cittadini hanno diritto a ottenere dal Servizio sanitario nazionale), Scura invece smentisce e sostiene che un miglioramento c’è stato. I due si mettono schiena a schiena, e smettono di parlarsi. 

Il Coronavirus non aspetta le assunzioni (e le elezioni)

Dicembre 2018, fine dell’era Scura e bacchettata (leggere batosta) della Corte dei Conti. «I servizi offerti continuano a restare su livelli inadeguati e, ciò nonostante, si assiste dal punto di vista contabile a vistosi ritardi nei pagamenti e nei trasferimenti delle risorse» scrive nel giudizio di parificazione del Rendiconto della Regione Calabria.

Scura fa le valigie e arriva, con un post su Facebook del ministro della salute Giulia Grillo, il generale dei carabinieri Saverio Cotticelli, accompagnato dal subcommissario Thomas Schael (che a luglio 2019 si dimetterà per “problemi personali”, al suo posto arriverà Maria Crocco). La mission affidatagli dal governo è secca: realizzare oltre 20 interventi per attuare il Piano di rientro della sanità calabrese.

Per farlo dovrà provvedere all’adozione di ogni necessaria iniziativa per ricondurre il livello di erogazione dei livelli essenziali di assistenza agli standard di riferimento, procedendo anche  all’attuazione del piano di riorganizzazione della rete ospedaliera e della rete di emergenza-urgenza.

Siamo nel 2019

Mentre a Cosenza (dove l’Asp vive di caos dopo le dimissioni del commissario Daniela Saitta) si continua a discettare sul dove, come, quando, perché, costruire il nuovo ospedale, a ottobre 2019 arriva la firma del decreto che tutti aspettavano. Il decreto numero 135 autorizza direttori generali e commissioni prefettizie all’assunzione («nel rispetto del limite di spesa previsto») di 429 figure professionali, a tempo indeterminato, nelle aziende sanitarie e ospedaliere calabresi. La boccata d’aria che serviva in una regione che ancora non riesce a nominare un Garante per la salute (anche se nel 2008 erano stati stanziati 50mila euro per la sua istituzione).

I posti che si andranno a coprire, scorrendo le graduatorie, riservati a personale medico, paramedico e Oss, saranno 74 per l’Asp di Cosenza, 11 per quella di Catanzaro, 89 a Vibo, 4 a Crotone e 35 a Reggio. Per le aziende ospedaliere, 94 posti spetteranno alla Mater Domini di Catanzaro, 16 al Pugliese-Ciaccio del capoluogo, 64 all’Annunziata e 42 al Grande ospedale metropolitano di Reggio. 

Arriva il nuovo anno, il 2020, gli ospedali aspettano con ansia gli innesti. Ma gennaio è periodo elettorale, quindi niente assunzioni. E intanto è arrivato il Coronavirus.