Cinquemila euro in contanti a ogni festività. E gioielli presi “a piacere”, senza pagare. È quanto emerge dalle motivazioni della sentenza del processo abbreviato Reset, in cui il gup del tribunale di Catanzaro ha riconosciuto la responsabilità penale di Francesco Patitucci per l’estorsione aggravata a una gioielleria cosentina. Secondo il giudice Fabiana Giacchetti, la condotta dell’imputato «risulta provata oltre ogni ragionevole dubbio» sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e delle intercettazioni ambientali.

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A parlare per primo è stato Adolfo Foggetti, ex esponente del clan Rango-Zingari, che già nell’8 gennaio 2015 riferiva: «A Natale del 2010, Patitucci decise di far pagare anche la gioielleria che iniziò a corrispondere 5mila euro a Natale, Pasqua e Ferragosto, oltre a uno sconto del 50% su quanto acquistato».

Anche Luciano Impieri, collaboratore della stessa consorteria mafiosa, ha confermato l’imposizione: «So che il titolare della gioielleria paga 5mila euro ad ognuna delle tre festività a Francesco Patitucci; ciò avveniva nel 2013 e credo che avvenga anche attualmente». Impieri ha inoltre aggiunto che «gli appartenenti alla criminalità organizzata prendono gioielli presso quell’esercizio senza pagare. Io stesso sono andato a prendere numerosi gioielli per conto di Carlo Lamanna».

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Ulteriori riscontri arrivano dalle dichiarazioni di Franco Bruzzese e Francesco Noblea. Il primo racconta di un orologio “Heberard” regalato da Patitucci e proveniente dalla gioielleria, mentre il secondo inserisce l’episodio nel contesto dei regali fatti ai vertici del clan Bruni.

Secondo la sentenza del gup Giacchetti, le dichiarazioni dei collaboratori sono «coperte da riscontri individualizzanti e autonomi» e trovano conferma nelle intercettazioni ambientali. In particolare, una conversazione captata durante il lockdown, tra Patitucci e Michele Di Puppo, dimostra la rilevanza della gioielleria tra le fonti di entrata del racket: «Non si riscuote niente, Francé…».

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Altre intercettazioni del 18 agosto 2020 confermano che Patitucci, Di Puppo e Rosanna Garofalo discutevano della spartizione dei proventi estorsivi, facendo esplicito riferimento alla gioielleria.

Per il giudice, l’aggravante mafiosa di cui all’art. 416 bis.1 è pienamente integrata: «Emerge chiaramente sia l’utilizzo del metodo mafioso che l’obiettivo di agevolare l’associazione mafiosa». L’imprenditore non solo pagava il denaro, ma «era obbligato a consegnare merce del proprio negozio», a conferma di un rapporto di forza univoco. Il ruolo di Patitucci, inoltre, «è centrale nella gestione dei proventi illeciti riconducibili al gruppo criminale e all’associazione mafiosa di cui al capo 1».

Infine, è stata riconosciuta anche l’aggravante della recidiva specifica, considerata la «nota caratura criminale» di Patitucci e la sua storica «affermazione nel contesto estorsivo cosentino».