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L’ultimo anno di vita giudiziaria cosentina è stato fortemente condizionato dall’operazione “Reset“, l’inchiesta della Dda di Catanzaro contro la ‘ndrangheta operante a Cosenza, Rende e in alcuni comuni della provincia di Cosenza, tra cui la zona della Presila e della Valle dell’Esaro. Un anno ricco di misure cautelari, di ricorsi e contro ricorsi ma soprattutto di collaborazioni importanti. La strada era stata aperta a settembre 2022, qualche giorno dopo il blitz dell’1 settembre, da Ivan Barone. A novembre toccò a Danilo Turboli, il quale a distanza di otto mesi, ha fatto un passo indietro. e infine quello più “autorevole” di tutti, anche degli ultimi dieci anni: Roberto Porcaro.
Sull’ex boss del clan degli italiani di Cosenza abbiamo detto tanto in questi mesi e altro c’è da scrivere e raccontare. E stavolta lo facciamo attraverso le parole proprio di Turboli che prima di decidere di pentirsi di essersi pentito, ha rivelato eventi di tipo delittuoso molto interessanti che fanno intendere il modus operandi di Porcaro, un criminale a cui non piaceva stare dietro le quinte. Insomma, metteva la faccia in ogni cosa. Basti vedere le contestazioni in “Testa di Serpente” e “Reset“. Nel caso in esame, Turboli aveva illustrato un’azione intimidatoria ai danni di un negozio dell’area urbana cosentina.
L’ex pentito aveva raccontato ai magistrati della Dda di Catanzaro che «posso riferire circostanze relative a degli atti intimidatori posti in essere ai danni di un fioraio di Rende» dove Turboli si sarebbe recato personalmente due volte. «Una prima volta ero da solo e posizionavo davanti all’ingresso del negozio una bottiglietta incendiaria, in una seconda occasione, siccome il titolare non “si era rivolto” a nessuno per mettersi “a posto“, ci recavamo nuovamente presso la sede del negozio io e Porcaro».
L’ex “reggente” della cosca “Lanzino“, aveva affermato Turboli, «mi accompagnava con il suo scooter Beverly ed io, mentre lui era in attesa sul suo scooter, incendiavo il furgone del titolare del negozio di fiori».