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Un piccolo alimentari a Cosenza, un titolare che lavora con difficoltà e un’organizzazione criminale che impone il “contributo” per i detenuti. È l’episodio oggetto del capo 85 della sentenza abbreviata Reset, emessa dal giudice Fabiana Giacchetti, che ha riconosciuto la responsabilità penale di Gennaro Presta, Gianluca Maestri, Roberto Junior Olibano e Ivan Barone per un’estorsione aggravata ai danni di un imprenditore
Le richieste erano chiare e reiterate: mille euro a Natale, 800 a Pasqua e Ferragosto. La prima minaccia, però, risale al 2018: «Nel mese di giugno 2018 rinveniva, nei pressi dell’ingresso del suo negozio, una bottiglietta contenente del liquido infiammabile», seguita a breve da colpi di arma da fuoco esplosi contro la vetrina. Nessuna richiesta esplicita allora, ma i segnali c’erano.
Fu solo dopo, racconta la vittima, che Maestri – già cliente del negozio – gli chiese di parlare con un “amico”. Al bar vicino trovò Gennaro Presta, che gli chiarì le intenzioni: «Si stavano occupando di raccogliere dei soldi da destinare al sostegno delle famiglie dei detenuti». La cifra iniziale richiesta era di 3.500 euro annui, ridotta a 2.600 dopo una trattativa condotta con difficoltà: «Concordava con i due il pagamento di mille euro a Natale e due quote da 800 euro».
Il 20 dicembre 2018 Maestri si presentò come annunciato per ritirare il primo pagamento. «Per un cazzo di panettone!», sbuffava in una conversazione intercettata con Presta. L’anno successivo la scena si ripeté a Pasqua e Ferragosto, con nuove richieste e piccoli sconti, fino a 500 euro.
Nel dicembre 2019 il meccanismo si irrigidì. Il 10 e 11 dicembre, secondo quanto riscontrato da localizzatori e osservazioni della polizia, Maestri tornò al negozio: «Mi vuoi dare 800 euro entro domani alle 2?», chiese, rimandando la decisione al giorno seguente per valutare l’ok «degli altri». Alla fine, «intimandogli di pagare la somma di mille euro, immediatamente consegnata dalla vittima».
In aprile 2020, in piena pandemia, Olibano si presentò chiedendo «l’uovo di Pasqua prenotato», metafora dell’estorsione. La vittima versò 350 euro. In agosto, nuova visita e nuovo rimprovero: «Maestri lo redarguiva per l’esiguità della somma versata a Pasqua», finché Barone passò a ritirare un sacchetto con 600 euro «per Luca».
Tutti i passaggi sono confermati da dichiarazioni, intercettazioni e riscontri di geolocalizzazione. Il giudice evidenzia che «le dichiarazioni della persona offesa possono fondare la pronuncia di condanna anche nell’ipotesi in cui non vi siano riscontri investigativi diversi e ulteriori, purché appaiano veritiere, coerenti e restituiscano un racconto logico dei fatti». Nel caso in esame, «oltre alle dichiarazioni della vittima vi sono anche altri elementi probatori che convergono nel senso della responsabilità».
Il metodo mafioso appare evidente, secondo il gup Giacchetti, non solo per la pressione e il linguaggio usato, ma per la finalità: «Denaro necessario per il sostegno ai carcerati, evidente esplicitazione dell’orientamento dell’azione al mantenimento dell’associazione». E ancora: «Il riferimento ad un “amico”, considerato alla luce del contesto sociale fortemente intriso della presenza storica di associazioni mafiose operanti, induceva la vittima ad eseguire i pagamenti richiesti».