Il voto regionale in Calabria consegna un quadro politico chiaro e apre una fase nuova per la regione. Va riconosciuto al presidente Occhiuto il merito di aver saputo dare un’immagine diversa della Calabria: una regione dinamica, viva, che prova a risalire la china. Questa tensione positiva ha attecchito nel cittadino medio.

Intendiamoci: la Calabria resta una terra attraversata da problemi atavici, che necessitano di soluzioni strutturali e non di interventi sporadici o slogan. Sanità, spopolamento, collegamenti e infrastrutture — soprattutto nelle aree interne — sono nodi storici che tutte le forze politiche dovrebbero affrontare con spirito condiviso e responsabilità.

Al tempo stesso, Occhiuto ha saputo giocare d’anticipo, mettendo tatticamente e cinicamente in difficoltà un “campo largo” che oggi appare più come un conglomerato di comitati elettorali uniti contro qualcuno, piuttosto che come una coalizione fondata su idee, programmi e visioni comuni.

Un ringraziamento sincero va a Pasquale Tridico, persona di grande qualità e sensibilità, e a tutti coloro che hanno deciso di candidarsi e metterci la faccia: chi sceglie di esporsi, di sporcarsi le mani, di spendersi per la propria comunità merita sempre rispetto e gratitudine. I temi messi in campo dal centrosinistra, però, non sono stati sufficienti. È giusto e doveroso occuparsi di chi non riesce ad arrivare a fine mese o non trova lavoro; è necessario sostenere chi vive difficoltà materiali. Ma questo non basta più. Non è sufficiente sventolare bandiere o proporre sussidi: serve una visione capace di parlare a tutte le componenti della società — al mondo cattolico e alle sue sensibilità, al lavoro e al sindacato, ma anche a commercio, artigianato, partite IVA e professionisti.

Il centrosinistra deve tornare a essere una forza riformista moderna, in grado di rivolgersi alla maggioranza del Paese e non solo al proprio insediamento tradizionale. Per riuscirci serve uno sforzo vero, fatto di idee e radicamento. In questa campagna non si è sentita una proposta forte su un grande piano per il lavoro in Calabria, né una visione per la sburocratizzazione delle nostre amministrazioni: viviamo in una palude burocratica perenne, che scoraggia imprese, cittadini e amministratori. Ma non basta analizzare il voto: bisogna ricostruire luoghi di incontro e di elaborazione, riaprire sedi, rigenerare i corpi intermedi.

Il Partito Democratico, in particolare, ha smarrito le ragioni originarie della sua nascita: essere un partito dei territori e delle autonomie, radicato nella società e portatore di un programma riformatore serio. Troppo spesso si è presentato come il peggio del centralismo democratico e del correntismo doroteo.

Non servono sedi solo durante le campagne elettorali: servono soprattutto dopo, quando bisogna ascoltare, stare nei luoghi, costruire relazioni. La sfida non si gioca il giorno del voto: la vera sfida è tra una campagna elettorale e l’altra, nel tempo del silenzio, quando resta solo il lavoro quotidiano. Oggi l’atto davvero rivoluzionario non è sparare nel mucchio né pretendere teste o regolamenti di conti. Serve la responsabilità della ricostruzione: dei luoghi, delle menti, del rapporto con i giovani e con i militanti delusi, tenendo conto dei nuovi fenomeni sociali e culturali che attraversano il Paese.

Per farlo non serve decapitare nessuno: serve il coraggio di restare insieme, di fare politica senza competere per posti di potere, senza attendere “cadaveri” da deridere. È il momento del coraggio del lavoro quotidiano, delle piccole cose, del tornare a fare — con semplicità — ciò che è giusto fare.

«Rimettiamoci tutti a fare con semplicità il nostro dovere. Chi ha da studiare, studi. Chi ha da insegnare, insegni. Chi ha da lavorare, lavori. Chi ha da combattere, combatta. Chi ha da fare politica attiva, la faccia, con la stessa semplicità di cuore con la quale si fa ogni lavoro quotidiano. Madri e padri attendano a educare i loro figlioli. E nessuno pretenda di fare meglio di questo, perché questo è veramente amare la Patria e l’umanità». (Aldo Moro, 1944)

Oggi non c’è una guerra da cui uscire, ma c’è una comunità da ricostruire. Ed è questa la vera sfida: rimettersi in gioco, alzarsi le maniche e lavorare, ciascuno nel proprio ruolo, con serietà e dedizione.