Tutti gli articoli di Notizie
PHOTO
Qua è come se fosse caduto di nuovo il muro di Berlino, mi dice Ugo. Siamo in piazza Bovio a Piombino e i risultati delle elezioni del 25 settembre sono ormai acquisiti. Ugo è uno dei leader del movimento che, nell’ex città dell’acciaio, si batte contro il rigassificatore che il governo Draghi ha individuato come soluzione alla crisi energetica. Mi mostra una medaglietta che porta al collo: sopra c’è il volto di Che Guevara (e il suo voto è andato alle cosiddette forze “antisistema”). Ugo è molto scoraggiato perché a Piombino, dove il PCI e i suoi eredi una volta sfioravano serenamente il 90%, per la prima volta alle elezioni politiche Fratelli d’Italia ha preso appena 300 voti meno del PD. E, nell’ex roccaforte rossa della Toscana, i dem hanno perso dovunque contro il centrodestra, tranne a Firenze e provincia.
Dopo una sconfitta, servirebbero lucidità e capacità di analisi. La tesi più semplicistica porta a dire che il PD ha perso perché gli altri (M5S, Azione, Italia Viva) non hanno accettato il “campo largo”: la somma algebrica dei voti gli darebbe pure ragione. Un altro bel taglio con l’accetta spinge a sostenere che, al sud, i Cinque Stelle hanno vinto grazie al reddito di cittadinanza. A pochi viene in mente che in realtà il PD ha semplicemente smarrito ogni contatto con le proprie radici.
L’analisi della sconfitta è tanto più difficile da fare quando non si ancora è perso – e il PD, spesso sconfitto negli ultimi anni, è riuscito comunque a restare forza di governo. E tuttavia ragionare sulla casa che scricchiola anziché su una casa caduta è un’operazione molto più sensata.
Chi vi scrive, dopo il pari di Bolzano, ha tirato un enorme sospiro di sollievo per una partita che si era messa molto male e che un eurogol di Kornvig è riuscito a pareggiare. Otto punti dopo sei giornate sono un ottimo bottino, ma se c’è stato un momento ideale per ragionare su cosa sia andato e cosa no in questo avvio è stato proprio la sosta che si è appena conclusa.
Sosta nella quale è cambiata mezza serie B. Hanno esonerato l’allenatore in quattro: Benevento, Pisa, Perugia e Como, il nostro prossimo avversario. Sabato, a seconda del risultato di Cagliari, potrebbe aggiungersi anche il Venezia con Javorcic. Tutte formazioni che, in questo momento, si trovano alle nostre spalle e che mirano dunque a risalire posizioni. Benevento e Venezia sembrerebbero destinate a riuscirci, per le altre dipenderà dai risultati da qui alla prossima pausa di novembre.
Un anno fa fu proprio a questo punto del torneo che il Cosenza di Zaffaroni iniziò a sfaldarsi. E così stavolta, mentre eravamo impegnati in scongiuri per i corsi e i ricorsi dell’infortunio di Vaisanen, eccoci a disperarci pure per quello di Florenzi. Coincidenze? Non credo. Nel senso che un anno fa nella rosa rossoblù alle spalle del finlandese e del suo piede rotto c’era il vuoto: stavolta ci sono Meroni e Camigliano. Allora Vaisanen rientrò a gennaio, stavolta dovrebbe farlo a fine ottobre. Mi preoccupa di più l’assenza di Nuciddra, perché temo che non lo rivedremo in campo fino a dicembre (ma spero di sbagliarmi) e il suo ruolo di cucitura tra centrocampo e attacco finora è stato essenziale. Un po’ come lo erano, nel vecchio PCI, tutte quelle strutture intermedie come i circoli, le case del popolo, che oggi, svuotate di senso, rendono quel partito più liquefatto che liquido.
Se le prime sei giornate sono assimilabili ai risultati dell’affluenza alle elezioni (quelli che si commentano intensamente fino alle 22.59 e, poi, scompaiono dal dibattito), le prossime sette sono qualcosa di più dei cosiddetti exit poll. Il Cosenza affronterà Reggina, Genoa e Frosinone, tre formazioni tra le più in forma del torneo; Como e Pisa, dopo il cambio in panchina; Spal e Palermo ancora alla ricerca d’identità. Non faccio tabelle di marcia, ma è chiaro che parliamo di un calendario molto difficile.
La nostra soglia di sbarramento sarà determinata dalla condizione atletica di Giacomo Calò. Apparso non brillantissimo a Bolzano e, tuttavia, capace finalmente di andare a prendersi i palloni in difesa e offrire qualche barlume di gioco. La roccaforte però deve continuare a essere la difesa, tra le meno battute del torneo, e dunque spero che la scelta sul sostituto di Vaisanen sia stata ponderata a lungo in queste settimane. Con Perugia, Venezia e Benevento siamo tuttavia uno dei reparti offensivi meno prolifici e questo, signori, è il nostro muro di Berlino.
Quando in politica ci si illude di poter andare a pescare elettori al di là del proprio blocco sociale, di solito quel partito smarrisce se stesso – ed è quel che è accaduto al PD.
È ovvio che il Cosenza non può diventare una spietata macchina da gol, ma qualcosa bisogna inventarsi: persino il Sudtirol è stato più pericoloso di noi in fase offensiva. Nella sua gravità, però, l’infortunio di Florenzi offre a Dionigi una piccola chance: quella di passare a due punte. Mancando lo sgobbone tuttofare coi piedi buoni a cucire i reparti, potrebbe sistemare Calò in regia, con Brescianini e Voca (o Kornvig) in una mediana a tre, lasciando D’Urso alle spalle di due punte. C’è da valutare anche la condizione di Nasti, finora oggetto misterioso ma di cui mi dissero un gran bene.
E tuttavia va tenuta presente una cosa: non è che il Cosenza segna poco perché non schiera abbastanza punte. Il Cosenza segna poco perché costruisce poco. Il problema non è in attacco, ma a centrocampo. Non è un caso che siano state appena due le reti degli attaccanti (una Larrivey e l’altra, su punizione, di Brignola) e le altre appartengano alla categoria dei gol a rimorchio, cioè inserimenti dalla mediana (Florenzi, Brescianini, Kornvig). La rapidità di Brignola è stata sfruttata poco, la tecnica di D’Urso (e la possibilità di sovrapporre il terzino e creare superiorità) ancora meno, l’intensità di gioco è calata. Ed è per questo che molto di quel che accadrà dipende proprio dalle condizioni di Calò.
Spero, in conclusione, che le due settimane trascorse siano servite a Dionigi a mettere a fuoco quel che finora non è andato: l’approccio molle delle ultime gare, la mancanza di un cambio di passo nella ripresa, certi errori individuali. La classifica dice che il Cosenza è partito bene, ma se c’era un momento per analizzare e correggere tutto questo stava proprio tra le sfide con Sudtirol e Como. Dopo, si rischia di rimpiangere il passato, come il povero Ugo.