Viviamo in un tempo che chiede sempre di più: più velocità, più efficienza, più disponibilità. Un tempo in cui la pressione è diventata la regola, non l’eccezione. In questo scenario il burnout non è soltanto una parola entrata nel vocabolario comune, ma il sintomo profondo di un mondo che consuma le energie emotive e fisiche delle persone, fino a svuotarle.

Se per molti il sovraccarico è una fatica quotidiana da gestire, per chi lavora nella sanità diventa una frattura interiore: perché la posta in gioco è la vita degli altri. Ogni scelta, ogni errore possibile, ogni minuto sottratto al riposo si traduce in responsabilità enormi che si accumulano giorno dopo giorno.

È in questo contesto già carico di tensioni che, in Calabria, il burnout tra medici e infermieri non è più un rischio lontano, ma una condizione diffusa e palpabile. Lo conferma ai nostri microfoni Giovanni Arconte, segretario regionale dell’Ugl Salute, che descrive un sistema allo stremo dopo oltre quattordici anni di commissariamento, tagli, chiusure di presidi e un’emorragia costante di risorse professionali. «Il burnout del sistema sanitario calabrese – afferma – sta assumendo connotati sempre più preoccupanti».

Un sistema svuotato: «Mancano 2.000 infermieri e 2.500 medici»

Secondo le stime del sindacato, nella regione mancano all’appello circa 2.000 infermieri e 2.500 medici, spesso mai sostituiti dopo il pensionamento. Una situazione che genera turni massacranti, mansioni aggiuntive e una pressione costante sulle poche risorse rimaste. La carenza di organico, aggravata dalla chiusura di circa 18 ospedali negli anni del commissariamento, ha ridotto drasticamente i posti letto e ampliato il divario tra domanda e offerta di assistenza sanitaria, soprattutto in un territorio che registra un forte invecchiamento della popolazione.

«Quando il personale è così insufficiente – spiega Arconte – il sistema va in sofferenza. I turni diventano interminabili, la rotazione si riduce e lo stress aumenta inevitabilmente».

Sulla questione dei turni massacranti e della precarietà, Arconte sottolinea come l’assenza di assunzioni stabili abbia un peso determinante: «Il gap tra una domanda di assistenza sempre più crescente, dovuta a una popolazione che invecchia, e un’offerta sempre più debole per la chiusura di tanti presidi, condiziona enormemente il funzionamento delle strutture. Se manca personale, è inevitabile che il sistema venga schiacciato da turni prolungati e da una rotazione insufficiente, che non garantisce i tempi di riposo».

I numeri del burnout: «Il 60% degli infermieri si sente stressato, il 40% ha sintomi clinici»

L’Ugl conferma che in Calabria il quadro è analogo, se non più critico, rispetto a quello europeo: circa il 60% degli infermieri si dichiara stressato, il 40,2% presenta un burnout clinico e quasi la metà sarebbe pronta a lasciare la regione. Parte di questi dati proviene da indagini condotte dal sindacato su campioni di personale e da analisi interne di alcune aziende sanitarie. «Questi numeri parlano chiaro – sottolinea Arconte – e mostrano la gravità di una situazione che non può essere minimizzata».

La violenza nei pronto soccorso: «Un clima di emergenza continua esaspera tutti»

L’aumento degli episodi di violenza nei pronto soccorso incide profondamente sul benessere psicologico degli operatori. Arconte lo definisce un fenomeno “figlio della frustrazione generale”: pazienti e familiari, esasperati da lunghe attese e percorsi congestionati, sfogano spesso la loro tensione contro chi, con risorse minime, tenta di garantire assistenza.

«Allo stress fisico – aggiunge – si somma quello psichico. Gli operatori lavorano in una perenne emergenza e devono prendere decisioni in tempi rapidissimi, con il peso della responsabilità verso i pazienti e la pressione continua dei familiari. È impossibile operare con la serenità necessaria».

Il nodo del supporto psicologico, in tal senso, resta irrisolto: in Calabria non esistono sportelli dedicati a medici e infermieri, ma solo servizi dei Dipartimenti di Salute Mentale, rivolti all’intera popolazione. «Serve un servizio specifico – afferma Arconte – ma prima bisogna riconoscere il burnout come malattia professionale. Solo così si potranno attivare strumenti mirati».

«Assunzioni stabili, stipendi adeguati e prevenzione della violenza»

Per invertire la rotta, l’Ugl chiede interventi immediati. «La prima urgenza è ricostruire gli organici – ribadisce Arconte –. Senza personale non si può pensare a un sistema sanitario funzionante». Le assunzioni devono essere stabili, non provvedimenti temporanei destinati a svanire con la fine dei fondi.

Il secondo passo riguarda la valorizzazione economica delle professioni sanitarie: «Gli stipendi non rispecchiano competenze e responsabilità. Se non si riconosce il valore del lavoro, non possiamo pretendere attrattività: è naturale che i giovani cerchino altrove il loro futuro».

La sicurezza è un altro fronte cruciale. «In alcuni ospedali della provincia di Verona – racconta Arconte – sono stati introdotti braccialetti telefonici che permettono al personale di lanciare un allarme silenzioso. In tre minuti arrivano le forze dell’ordine. È una misura semplice, ma dà agli operatori la sensazione di non essere soli”. In Calabria, strumenti simili non sono ancora presenti».

La battaglia centrale dell’Ugl resta il riconoscimento del burnout come malattia professionale. «È l’unico modo per attivare sistemi di monitoraggio, prevenzione e sostegno psicologico dedicati a medici e infermieri», afferma Arconte, auspicando un impegno diretto del presidente della Regione, Roberto Occhiuto. «Il fenomeno è troppo esteso per essere ignorato. Serve un atto politico che finalmente riconosca ciò che ogni giorno vivono migliaia di professionisti».