martedì,Giugno 24 2025

Tutto può succedere

«Quando il secondo anno non investi, la paghi sempre». Le parole di Luca Calamai mi risuonano nella testa da un’ora circa. Ho ritrovato il vicedirettore della Gazzetta dello Sport, come accade spesso il lunedì, per commentare in rassegna stampa le partite del campionato, e siamo finiti a parlare del Cosenza. Cosa che facciamo spesso, da

Tutto può succedere

«Quando il secondo anno non investi, la paghi sempre». Le parole di Luca Calamai mi risuonano nella testa da un’ora circa. Ho ritrovato il vicedirettore della Gazzetta dello Sport, come accade spesso il lunedì, per commentare in rassegna stampa le partite del campionato, e siamo finiti a parlare del Cosenza. Cosa che facciamo spesso, da quando il figlio Matteo venne a giocare in rossoblù per due stagioni.

Quel “pagare” oggi ha un prezzo altissimo, per noi: gli appena 4600 spettatori di Cosenza-Pordenone. L’entusiasmo ritrovato sull’onda della cavalcata playoff, in meno di un anno, è già svanito. I tifosi hanno la netta sensazione di essere stati presi in giro da chi, in estate, aveva promesso di voler “alzare l’asticella”, visto che invece la squadra arranca al terzultimo posto. Infatti, gli spalti sono quasi deserti. E i pochi presenti rivendicano, a buon diritto, “Non ci meritate”. Ad oggi, per rivedere al Marulla quei 7mila paganti di media della scorsa stagione, servirebbero due cose: un filotto di tre o quattro vittorie (ad oggi improbabile) o un tracollo totale, e quindi l’appello collettivo a sostenere una barca che sta affondando.

Ma il prezzo è altissimo anche per il presidente Guarascio, e temo che l’interessato non se ne stia rendendo conto fino in fondo. Ad appena due anni dalla promozione, rischia di passare alla storia non come quello dello “storico ritorno in B dopo 15 anni”, ma come chi “ha riportato il Cosenza in C dopo appena due stagioni”. E stia sicuro che potrà anche comparire accanto a Greta Thunberg e liberare la terra da tutti i rifiuti del mondo, ma l’etichetta di imprenditore che ha fallito sul piano sportivo – ogni volta che proverà a chiudere affari in giro per la Calabria – non gliela leverà di dosso più nessuno. Questo trascurando il conto economico di una eventuale retrocessione.

Si sa che “chi più spende, meno spende”, e ancora una volta il presidente Guarascio ha derogato al buonsenso. A gennaio sarà quindi costretto a mettere mano al portafogli per rinforzare la squadra – un regista, un centrocampista e due difensori mi paiono il minimo sindacale – e salvare il salvabile. Purtroppo sono proprio cose come queste che riducono a zero l’appeal di una piazza come Cosenza e la trasformano in una stazione di transito, da dove si passa giusto il tempo di rilanciarsi e strappare un ingaggio più prestigioso altrove – a questo punto della stagione, per dire, se voi foste Rivière o Perina rinnovereste il contratto o cerchereste di svincolarvi a giugno?

In queste ore ho letto di tutto. La testa di Braglia è la richiesta più diffusa, tra ipotesi poco convincenti (Castori e Cosmi) o surreali (davvero vorreste affidare a Occhiuzzi, un debuttante, la prima panchina della sua vita, in B, a Cosenza e con una squadra terzultima? Cosa vi ha fatto di male?). È anche vero che alcune scelte recenti del tecnico toscano hanno lasciato perplesso. La più recente, il 4-3-3 contro il Pordenone, con Greco (un’ombra) e Carretta (in precarie condizioni fisiche) dal primo minuto.

Guardiamo un attimo i numeri. Finora il Cosenza ha realizzato 18 gol – tanti quanti il Cittadella quarto, per dire. Ne ha subiti 20 (che non sono nemmeno troppi), dieci dei quali però sono arrivati nelle ultime cinque partite, ed è il dato più preoccupante. La difesa balbetta, nel posticipo di Perugia ogni calcio d’angolo era un patema. Eppure entrambi i dati sono migliori della scorsa stagione (erano 13 e 23). Sono peggiorati invece i punti e la situazione in classifica. Quel Cosenza ne aveva 15 e teneva alle sue spalle cinque squadre.

E non è un dettaglio, perché una squadra è come una casa – sia nel senso delle fondamenta, che di rifugio. Un anno fa, i ragazzi di Braglia avevano vinto due gare di fila (Crotone e Padova), cosa che questa squadra non è ancora mai riuscita a fare, e quella “doppietta” psicologicamente fu una svolta, perché quei ragazzi (anche dopo il 4-0 patito alla Spezia) a quel punto potevano dirsi “Ehi, ma se ci siamo riusciti lì, perché non potrebbe succedere di nuovo?”.

E così come in campo, quando le cose vanno male, devi sapere di poter voltare la testa e non trovare rassegnazione, ma rabbia negli occhi dei tuoi compagni. Non sono fatalista, ma a questa squadra va veramente tutto storto (a Perugia il 2-3 non sarebbe entrato nemmeno con le mani) e io, da osservatore, continuo a pensare che questo organico non sia da terzultimo posto mentre, da tifoso, trovo persino inspiegabile la china che sta assumendo questa stagione. A cominciare dalla sconfitta di Pordenone. Intendiamoci: i Ramarri hanno vinto con merito, ma non vado lontano dalla verità se dico che (a giudicare le occasioni da gol espresse) sarebbe potuto accadere anche il contrario. E, a chi magnifica il gioco del Pordenone e dice che i rossoblù non ne hanno, suggerisco di andare a dare un’occhiata al resto della B…

Ma la verità è un’altra. Ed è che una gara come quella di domenica il Cosenza di un anno fa non l’avrebbe persa così. Quello di oggi non oltre la paura di cui Braglia parlava qualche mese fa. È tremendamente sfiduciato. Non “morde” la gara. Si sfalda alla prima difficoltà. Prende due gol a difesa schierata, con i centrali (o il terzino) che perdono l’attaccante in mezzo all’area. E poi si ritrova a folate, tra clamorosi errori (Rivière) e iniziative individuali (Machach e Lazaar).  Tutto può succedere. Persino (ed è un paradosso, ma fino a un certo punto) vincere le prossime tre partite.