mercoledì,Ottobre 9 2024

La grande paura e l’agonia

«Sono tre le grandi paure dell’uomo: la morte, il tradimento e la retrocessione. Ripensavo a questa vecchia massima, l’altro giorno, mentre rientravo da Piancastagnaio. Ero andato a occuparmi del caso di un calciatore della Pianese, positivo al Covid-19. Per chi non lo sapesse, la Pianese l’anno scorso ha realizzato un’impresa storica: per la prima volta nella

La grande paura e l’agonia

«Sono tre le grandi paure dell’uomo: la morte, il tradimento e la retrocessione. Ripensavo a questa vecchia massima, l’altro giorno, mentre rientravo da Piancastagnaio. Ero andato a occuparmi del caso di un calciatore della Pianese, positivo al Covid-19. Per chi non lo sapesse, la Pianese l’anno scorso ha realizzato un’impresa storica: per la prima volta nella sua storia, questo piccolo comune dell’Amiata che è approdato in serie C.

La frase di cui sopra mi è tornata in mente mentre parlavo col direttore generale dei bianconeri. Pensavo di sentire la voce di un uomo nel pieno della paranoia collettiva sul Coronavirus, e invece niente. «Qui hanno messo in quarantena tutta la squadra – mi fa al telefono –. Lo sa che significa? Che i ragazzi non si potranno allenare per quasi due settimane. Per noi, che siamo penultimi e in piena lotta per non retrocedere, sarà una mazzata devastante». 

Della Pianese in quarantena ha parlato mezza Italia, anche perché pochi giorni prima la squadra aveva giocato contro la Juventus Under 23. Una sconfitta che aveva spinto la società a un passo dall’esonerare l’allenatore della storica promozione, Marco Masi. Decisione che ora erano costretti a riconsiderare perché, con una situazione del genere, stavano faticando e non poco a trovare un tecnico disponibile a subentrargli. Nel frattempo i casi di positività al Covid-19 sono diventati cinque.

Insomma, per un paese di quattromila abitanti, costretto a seguire le gare casalinghe a Grosseto (un’ora e mezza di auto) in attesa di adeguare il proprio stadio, il ritorno in serie D è un fantasma persino più grave del virus che ha costretto mezza B a giocare a porte chiuse e la serie A ad una ridicola serie di rinvii.

Ecco, è questo che avrei voluto vedere sabato al Penzo, contro un Venezia che tra le mura amiche non vinceva dal 9 novembre. Avrei voluto vedere un Cosenza che, nonostante le assenze di Riviere e Asencio, lottasse contro una delle tre più grandi paure dell’uomo. E che, una volta raggiunto il pareggio, cingesse d’assedio i padroni di casa in cerca di una vittoria che ci avrebbe portato a 26 punti. Invece, come spiegano anche le parole di Pillon a fine gara, il punticino è stato ritenuto già un traguardo di cui accontentarsi. Perché una sconfitta avrebbe posto fine a ogni speranza residua.

Questo è il bicchiere mezzo vuoto. Quello che ci spinge a pensare che sia già tutto scritto e i Lupi abbiano un piede e mezzo in C. Ed è ovvio che, più passano le giornate e meno bottini pieni si riescono a fare, più la sorte sarà segnata.

Qual è il bicchiere mezzo pieno? Il Venezia visto in campo era davvero ben poca cosa – e questo conferma che, in zona retrocessione, in teoria è tutto ancora in discussione. La Juve Stabia agguanta in extremis il pari contro il Trapani. Il Livorno batte il Chievo Verona e il Cittadella, cioè il nostro prossimo avversario, viene fermato sullo 0-0 dalla Cremonese. In parte questo è il bello del calcio, sempre e ovunque – in Premier League, sabato, il Watford penultimo ha sconfitto l’invincibile capolista Liverpool per 3-0. In questa serie B, che è quel che ci importa, è la prova che la quota salvezza – in mezzo a tanti passi falsi a sorpresa – potrebbe essere incredibilmente bassa.

Il problema è che, in questo momento e da questa lotta, il Cosenza è tagliato fuori. I numeri lo costringono ancora a rincorrerla. Servono risultati utili, almeno due, nelle prossime gare (e per “risultati utili” intendo almeno una vittoria e un pareggio), prima dello scontro diretto con la Cremonese e della gara col Trapani. Oppure il ritorno in C sarà inevitabile.

A questo punto, tocca porsi una domanda: è cambiato qualcosa dall’arrivo di Pillon? Poco. Ed era sacrosanto invece attendersi qualcosa di più dal tecnico trevigiano, nonostante il poco tempo a disposizione. In questi primi venti giorni, il vero passo falso è stato l’atteggiamento con il Frosinone. Per certi aspetti mi ha ricordato quello commesso da Braglia contro l’Entella. Il vero limite del Cosenza 2019-20 è stato non trovare mai continuità di risultati, e quindi autostima – pensate all’Empoli targato Pasquale Marino. Allora i rossoblù arrivavano da cinque risultati utili. Contro il Frosinone, e cioè con una delle prime della classe, anche un pari avrebbe garantito morale e mosso la classifica, in vista della trasferta di Venezia. Invece è successo il contrario: un disastro il match del Marulla, che ci ha costretti a contentarci del pari in Laguna.

Quanto al modulo anche Pillon, come Braglia, è stato costretto a rinunciare al 4-3-3 per tornare al collaudato 3-5-2. Si vede una mano diversa: è aumentato il volume di gioco sulle fasce, la squadra appare appena più solida dietro, ma è troppo poco. Anche perché il vero problema è l’involuzione di Kanouté, lento e insicuro al punto da esporre continuamente il pacchetto arretrato ai blitz avversari. La svolta tecnica, insomma, non c’è stata, e a questo punto c’è da temere che non arriverà.

Non lo dico per fare la caccia alle streghe. Ho la massima stima nei confronti di Pillon (e, d’altra parte, gli unici punti conquistati dal Cosenza nel 2020 sono suoi). E ci sta che la situazione, che si trova a gestire, sia ancora più difficile di quanto appaia. Per quanto mi riguarda, la filiera delle responsabilità continua a essere chiara. Al primo posto c’è un presidente che si ostina a mettere a disposizione un budget irrisorio (ma c’è chi in B ha speso il doppio e arranca in zona playout). Al secondo c’è un direttore sportivo che ha allestito la squadra selezionando più in base ai procuratori che al talento dei calciatori. Negli anni scorsi era andata bene, tra ragazzi umili e motivati. Stavolta il risultato è stata una rosa valida (lo ripeterò fino alla nausea) ma, in molti elementi, supponente e presuntuosa. A Firenze si racconta che, nei momenti di tensione per il rinnovo del contratto, Ribery sia andato più o meno letteralmente a tirare le orecchie a Chiesa: vero o no che sia, nello spogliatoio del Cosenza qualcosa del genere avrebbe aiutato.

Quindi, nella catena degli orrori, gli allenatori (Braglia prima, Pillon ora) sono gli ultimi colpevoli. Per me vengono addirittura dopo i calciatori. Un’arma, però, Baffone ce l’ha. Ed è la scelta dell’undici che scenderà in campo. E, siccome le prossime due partite saranno decisive, un tecnico non può permettersi il lusso di insistere a puntare su gente arresa, demotivata, gente che contro una delle tre grandi paure dell’uomo fa spallucce (perché tanto un contratto l’anno prossimo lo troverà lo stesso: quella paura è più nostra che loro), si oppone senza cattiveria né agonismo. Perché c’è solo una cosa peggiore della paura. Ed è l’agonia.