Inchiesta “Genesi”, archiviate 17 posizioni: ci sono anche Tursi Prato e Santoro
Va in archivio il secondo capitolo dell'inchiesta "Genesi". Nell'elenco figurano i cosentini Tursi Prato, Santoro, Arcuri e Catizone.
Si chiude con un decreto di archiviazione, firmato dal gip Giovanna Pacifico, uno dei filoni d’inchiesta del processo “Genesi”, dove il principale imputato rimane il giudice Marco Petrini, sospeso dalle funzioni da parte del Csm, dopo l’arresto avvenuto nel gennaio del 2020 per corruzione in atti giudiziari.
Il secondo capitolo del procedimento penale, iscritto all’epoca dalla procura antimafia di Salerno, riguardava tanti indagati cosentini, chi noto e chi meno noto. In tutto sono 17 le persone che chiudono in maniera positiva la faccenda giudiziaria, non essendo emersa, per diverse imputazioni, alcun elemento valido per sostenere l’accusa in giudizio.
Arcuri: reato prescritto
La prima contestazione archiviata è quella di Vincenzo Arcuri, originario di Cariati, giunta «per intervenuta prescrizione, trattandosi di assegni, di ammontare complessivo pari a 10mila euro, consegnati da Arcuri a Petrini nel 2010 (somma mai restituita), come emerge dalle seguenti fonti di prova: rinvenimento e sequestro, in occasione della perquisizione effettuata a Vincenzo Arcuri delle copie delle matrici degli assegni in parola, nonché dalle dichiarazioni di Marco Petrini ed Emilio Mario Santoro», quest’ultimo ex dirigente medico dell’Asp di Cosenza, che da tempo collabora con la giustizia.
Intercettazioni inutilizzabili (ma Rizzuto è deceduto da poco)
«Quanto alla posizione di Ottavio Rizzuto», deceduto di recente, «va detto che il suo coinvolgimento emergeva dalle intercettazioni, disposte dalla procura di Catanzaro in altro procedimento a carico di Rizzuto per il reato di riciclaggio e dalla ammissione del Santoro circa il coinvolgimento del primo». A dire il vero, il tribunale del Riesame di Catanzaro, nell’ambito dell’inchiesta “Thomas”, aveva escluso ogni addebito al banchiere. «Tanto premesso – si legge nel decreto – si evidenzia, che le intercettazioni non sono utilizzabili ai sensi dell’articolo 270 c. p. p., mentre la sola dichiarazione di Santoro, chiamante in correità di Rizzuto, resta priva di necessari riscontri».
Il caso dei cosentini: da Tursi Prato a Catizone
Rimanendo in provincia di Cosenza, al capo 3 dell’ordinanza di custodia cautelare emergeva la vicenda in cui erano stati inizialmente inquisiti Pino Tursi Prato, Giuseppe Caligiuri, Francesco Saraco, Lorenzo Catizone (coniuge del presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, Loredana De Franco), e di sua madre, Virginia Carusi. L’accusa all’epoca era stata riqualificata in traffico di influenze illecite.
«Va precisato che non sono stati acquisiti elementi idonei a carico di Catizone e Carusi. In particolare dalle conversazioni captate nel p. p. 6695/18 non emerge alcuna condotta penalmente rilevante ascrivibile agli stessi, sicché devono ritenersi del tutto estranei alla vicenda». E ancora: «Per Tursi Prato, Caligiuri e Saraco, invece gli elementi raccolti costituiti dalle dichiarazioni rese da Francesco Saraco contro Pino Tursi Prato sono insufficienti a sostenere validamente l’accusa in giudizio in quanto non vi è prova che Tursi Prato o Caligiuri “sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con il pubblico ufficiale” si sia fatto consegnare o promettere denaro o altra utilità quale prezzo per la propria mediazione presso il primo da Francesco Saraco».
Verso il Pollino
Archiviate anche le accuse relative a Rosetta Rago, avvocato del foro di Castrovillari, e Francesca Santagata. «Manca la prova dell’accordo corruttivo e, segnatamente, il nesso sinallagmatico tra il bacio (che, in tesi, costituirebbe il prezzo della corruzione) ed eventuali provvedimenti emessi dal magistrato in favore della Rago». Stesso provvedimento anche per Roberto D’Elia ed Emilio Mario Santoro.
Petrini e la moglie
Infine, il capitolo dedicato alla moglie di Marco Petrini, Stefania Maria Gambardella, funzionaria della Corte d’Appello di Catanzaro. «L’espressione rivolta al marito – pur essendo indicativa di un disappunto nei confronti della sua scelta di ammissione dei fatti – può essere letta, alternativamente all’iniziale ipotesi accusatoria – come una forte preoccupazione in ordine ai rischi cui aveva esposto sé stesso e la propria famiglia con le dichiarazioni rese e che la donna aveva appreso, verosimilmente, dallo stesso coniuge. Va detto, tra l’altro, che non sono emerse fonti di prova indicative dell’esistenza di eventuali mandanti o istigatori delle frasi pronunciate dalla donna». Con queste motivazioni il gip di Salerno, Giovanna Pacifico ha condiviso le argomentazioni offerte dalla procura di Salerno, coordinata dal procuratore Giuseppe Borrelli, e dalle difese, anche per le posizioni di Palma Spina, Francesco Saraco, Antonio Saraco, Luigi Falzetta e Antonio Cristiano.
A tal proposito, il collegio difensivo è composto dagli avvocati Franz Caruso, Francesco Calderaro, Agostino De Caro, Cataldo Intrieri, Rossana Cribari, Luca Donadio, Arcangelo Sero, Michele Filippelli, Mario Murano, Fabio Pellegrino, Marco Vignolini, Vincenzo Maiello, Tiziano Saporito, Giuseppe Della Monica, Filomena Claudia Senatore, Raffaele Pucci, Michele Gigliotti e Bernando Marasco