sabato,Dicembre 2 2023

Il settore del “Gaming” nella provincia di Cosenza: ecco i nomi coinvolti

La Dda di Catanzaro porta alla luce il malaffare grazie a un monopolio gestito quasi totalmente dal gruppo degli italiani. I dettali della vicenda

Il settore del “Gaming” nella provincia di Cosenza: ecco i nomi coinvolti

Il “Gaming” nella provincia di Cosenza è un affare (illecito) gestito quasi totalmente dal gruppo degli italiani. Emerge dagli atti dell’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro che dedica un capitolo alla presunta attività illegale, storicamente avviata da Ettore Lanzino, e oggi gestita da coloro i quali sono rimasti nel gruppo da egli costituito, assumendone il controllo.

Scrivono i pm Corrado Cubellotti e Vito Valerio: «La pervasività tentacolare della locale criminalità organizzata, difatti, si manifesta sia nella gestione di attività economiche – apparentemente – lecite che nella conduzione di quelle propriamente illecite» si legge. «Il settore del “Gaming” nella provincia di Cosenza, ha da sempre rappresentato una forte attrattiva per le finalità illecite delle locali consorterie criminali, in quanto la gestione delle scommesse e dei “giochi”, rappresenta un’attività redditizia», essendo caratterizzata, secondo la Dda di Catanzaro, «da un costante movimentazione di enormi flussi di capitali».

“Gaming” nella provincia di Cosenza, il ruolo di Carlo Drago

Secondo gli investigatori, un elemento di vertice del “gaming” nella provincia di Cosenza, è Carlo Drago. «L’elevato spessore criminale gli consente di fungere da giuntura e snodo tra gli interessi dell’imprenditoria connivente attiva nel settore dei giochi e delle scommesse e le aspettative di guadagno del clan di cui lo stesso fa parte».

Secondo la Dda di Catanzaro, nel gruppo ci sarebbero anche Paolo Reda, Andrea Reda e Francesco Reda, divenuti parenti di Drago tramite la sorella. A questi si aggiungono Daniele Chiaradia, il poliziotto Silvio Orlando, in servizio nel periodo delle indagini in procura a Cosenza, e ritenuto “socio occulto” della ‘ndrangheta, nonché in presunti affari loschi con Francesco De Cicco, assessore comunale di Cosenza, Damiano Carelli, figlio di Santo, scomparso di recente, «che se da una parte si muove in un contesto differente – riferendosi a Damiano – facendo valere la sua egemonia nel settore, prevalentemente nel territorio di Corigliano, dall’altra, attraverso la capacità di costituire alcune importanti alleanze, ha esteso il proprio raggio d’azione sull’intero territorio calabrese».

“Gaming” nella provincia di Cosenza, il gruppo cosentino

Nell’informativa si fa riferimento anche a due soggetti reggini, ma l’aspetto investigativo più rilevante è quello di individuare una struttura ben precisa: gli imprenditori versano i soldi nella cosiddetta “bacinella”; i sodali sarebbero Carlo Drago, Mario Piromallo “Renato”, Roberto Porcaro e Alberigo Granata, mentre i soggetti orbitanti intorno al sodalizio sarebbero Daniele Chiaradia, Andrea Reda e Mario Gervasi.

“Gaming” nella provincia di Cosenza, cosa dicono i pentiti Femia e Gioia

Di questi presunti affari illeciti ne parla anche il collaboratore di giustizia Nicola Femia, affermando di conoscere l’ingegnere informatico Daniele Chiaradia. «È sempre stato esclusivista per Cosenza e provincia», dice il pentito dell’indagato, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. «Chiaradia mi disse di essere in società con uno della Questura di Cosenza, circostanza riferitami da altri. Dovrebbe trattarsi di un graduato ma non di un funzionario».

Del “Gaming” ne riferisce anche Silvio Gioia, pentito cosentino, che nel 2019, svela gli interessi di Mario “Renato” Piromallo. «Mario Gervasi e Daniele Chiaradia avevano una società denominata Gechi Games e gestivano un sito, cosiddetto “punto com”, ubicato a Malta. Sono a conoscenza del fatto che il denaro necessario all’avvio della sopra citata attività era stato fornito da Mario Piromallo».

“Gaming” nella provincia di Cosenza, le accuse all’assessore Francesco De Cicco

Gioia illustra anche la posizione di Francesco De Cicco: «Tengo a precisare che lo stesso è proprietario del bar Popily Street situato in via Popilia. Tale soggetto era legato, quantomeno fino al 2013, a Chiaradia e Gervasi, i quali gli avevano fornito il “punto com”, nonché le slot machine, e con i quali aveva un accordo che prevedeva un riconoscimento nei suoi confronti del 45 per cento degli utili maturati. De Cicco tuttavia aveva il vizio del gioco» dice Gioia, «e aveva assunto nei confronti dei predetti, e indirettamente con Piromallo, un debito superiore ai 200mila euro. Per onorare il debito De Cicco ha dovuto vendere delle autovetture di pregio, tra cui una Bmw, e da quel che io sappia ha dovuto rinunciare a una porzione dell’edificio commerciale che costituiva la sua attività economica». Il pentito, però, ritiene che il presunto debito sia stato totalmente estinto, specificando di non essere a conoscenza di «eventuali tassi usurai applicati da Piromallo-Chiaradia nei confronti di De Cicco».

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