Quando l’Italia scese in piazza a Cosenza | 20 anni fa la grande manifestazione No Global
Il 15 novembre 2002 la città si svegliò con la notizia degli arresti. Le carte dell’inchiesta parlavano di “associazione sovversiva” e di “sovversione dell’ordine economico dello Stato”
Verso la fine degli anni ’90 la speranza animava i cuori di molti: arriverà presto un mondo migliore, diverso, con la prosperità assicurata dalla globalizzazione. Fu un abbaglio. E così, di colpo, un movimento antagonista mondiale partito da Seattle si riversò nelle strade per esprimere dissenso.
Il fervore politico investì in pieno anche l’Italia, che riscoprì l’elettricità delle piazze dopo gli infuocati anni Settanta. Un’intera generazione risvegliò spiriti sessantottini di compagni più attempati. Scorgere madri e figli sfilare l’uno di fianco all’altro diventò la normalità delle cose.
Una mattina di venti anni fa, il 15 novembre, diverse città meridionali si destarono con i blitz delle forze di polizia. In tutta Italia furono effettuati 20 arresti su richiesta della Procura di Cosenza, 42 invece furono gli indagati. Fu rispolverato perfino il vetusto codice Rocco: le carte dell’inchiesta parlavano infatti di “associazione sovversiva” realizzata tramite assemblee pubbliche, di “sovversione dell’ordine economico dello Stato” e di “turbativa delle funzioni del governo italiano”. Accuse pesantissime che si sgonfiarono però nell’arco di un paio di settimane, ma che segnarono la vita di arrestati e indagati per dieci anni, esattamente fino a quando il terzo grado di giudizio non mise un punto alla vicenda.
Il 23 novembre del 2022 Cosenza urlò all’Italia di essere diventata tutta “sovversiva”, estremizzando così al massimo il concetto di solidarietà nei confronti dei “no global” finiti in manette: sessantamila persone sfilarono dalla stazione ferroviaria di Vaglio Lise verso Palazzo dei Bruzi, municipio che sprizzava garantismo da ogni finestra.
Erano i tempi in cui il Paese provava a cancellare le ferite di Genova, ma i lividi procurati da quei fatti drammatici erano troppo dolorosi. Due settimane prima, a Firenze, il “Global Social Forum” manifestò in maniera totalmente pacifica, rovesciando i teoremi della vigilia: si temeva un’altra Genova, non volò nemmeno un sasso. Ma nel frattempo, a Cosenza qualcosa si muoveva per sgominare la cosiddetta “Rete Meridionale del Sud Ribelle”. L’esito furono gli arresti.
I giorni che precedettero la mobilitazione furono caratterizzati da un paio di avvenimenti rilevanti. Il primo fu il trasferimento degli arrestati nel carcere di massima sicurezza di Trani, istituto penitenziario dove sono ospitati (ancora oggi) i terroristi rossi degli anni di piombo. Il secondo fu l’indignazione collettiva dei partiti di centrosinistra e dei movimenti antagonisti a cui fece il paio una presa di posizione netta della Curia cosentina: monsignor Agostino definì «esagerate» le accuse ricevendo il plauso degli altri vescovi italiani. Il terzo fu la decisione da parte dei collettivi di indicare Cosenza come città del corteo e non Napoli.
L’assemblea che il 22 novembre si tenne all’Unical per preparare il corteo rappresenta una pietra miliare della pluridecorata storia del più importante ateneo calabrese: anticipò di qualche ora i concetti pacifisti espressi poi lungo il tragitto. Dietro gli striscioni “Liberi tutti” e “Siamo tutti sovversivi” presero posto segretari di partito, amministratori, sacerdoti, attivisti, giornalisti, ultrà, insegnanti, artisti. Quel giorno scese in piazza Cosenza, che si aprì alle contaminazioni come forse mai aveva fatto prima. E con Cosenza scesa in piazza tutta l’Italia.