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Cassano “chiama” Cosenza: tentativo di estorsione a Montalto Uffugo

Le intercettazioni incastrano a parere della Dda di Catanzaro Nicola Abbruzzese, Michele Di Puppo, Gianluca Maestri e Ivan Barone (scoperto grazie al suo profilo Facebook)

Cassano “chiama” Cosenza: tentativo di estorsione a Montalto Uffugo

Cassano Ionio “chiama”, Cosenza risponde. Succede tutto tra il 23 gennaio 2 il 21 febbraio 2020, qualche giorno prima che l’allora governo Conte comunicasse l’entrata in vigore della fase emergenziale dovuta all’ondata pandemica. Nicola Abbruzzese, ritenuto dalla Dda di Catanzaro il “reggente” della cosca degli “zingari” di Cassano Ionio, in mancanza di entrate, avrebbe progettato una presunta estorsione in concorso con Michele Di Puppo, ‘ndranghetista di Rende affiliato al clan “Lanzino” di Cosenza, Gianluca Maestri e Ivan Barone, entrambi presunti partecipi del clan “zingari” di Cosenza, il secondo diventato collaboratore di giustizia qualche giorno dopo il blitz antimafia di “Reset“, avvenuto il 1 settembre 2022.

Indagati Nicola Abbruzzese, Michele Di Puppo, Gianluca Maestri e Ivan Barone

Le presunte condotte illecite, individuate prima dagli investigatori e poi circoscritte dal pubblico ministero Alessandro Riello, hanno portato a ritenere i quattro indagati partecipi di un medesimo disegno criminoso, nell’ambito dell’operatività della ‘ndrangheta cosentina, con Nicola Abbruzzese, Michele Di Puppo e Gianluca Maestri in qualità di mandanti e organizzatori della presunta estorsione ai danni di una società di Montalto Uffugo, e Ivan Barone in qualità di esecutore materiale. I quattro inquisiti, secondo i magistrati antimafia, avrebbero costretto il titolare dell’azienda a consegnare la somma di 30mila euro a titolo estorsivo, «da far confluire nelle casse delle consorterie criminali».

Le presunte minacce evidenziate nel capo d’imputazione riguardano quelle di aver posizionato una bottiglietta contenente liquido infiammabile con annesso accendino dinnanzi l’ingresso della sede della società di Montalto Uffugo, che sarebbe stata condotta materialmenete da Ivan Barone; di aver danneggiato l’impianto autovelox installato dalla ditta sulla strada Statale 534 al Km 17+450 nel comune di Cassano Ionio; di aver effettuato, a seguito delle presunte azioni sopra menzionate, una telefonata al marito della titolare della ditta, dicendogli «mettiti in regola con chi devi altrimenti la prossima volta la benzina la buttiamo addosso a te». L’ulteriore aggravante contestata a Nicola Abbruzzese e Michele Di Puppo è quella che i due avrebbero diretto la presunta attività estorsiva dei concorrenti nel reato.

«C’è mosceria»

La vicenda giudiziaria in oggetto prende inizio quando la Dda di Catanzaro intercetta una conversazione tra Nicola Abbruzzese detto “Semiasse” e Gianluca Maestri, in un periodo pre-Covid, nel corso del quale – a livelli affaristico – c’era «mosceria». L’indicazione di rivolgersi alla ditta di Montalto Uffugo, come vittima dell’estorsione, arriva proprio dal capo degli “zingari” di Cassano Ionio, nei confronti di «quello del fatto delle macchinette fotografiche della superstrada». La cifra da estorcere? 30mila euro, «quindici andate voi» e «quindici ce li prendiamo noi» avrebbe detto Nicola Abbruzzese a Gianluca Maestri, accusato anche di narcotraffico nell’ambito della nuova indagine antimafia contro gli Abbruzzese e Forastefano di Cassano Ionio.

Individuato l’esecutore materiale

Circa la realizzazione del delitto, Gianluca Maestri aveva “investito” della cosa anche Michele Di Puppo. «E mo lo troviamo un ragazzo, poi un ragazzo lo trovo io…» avrebbe dichiarato la “stella” della ‘ndrangheta cosentina, forte dei suoi rapporti con i rosarnesi. Maestri nella circostanza avrebbe riferito che in una precedente perlustrazione non si era accorto della presenza delle telecamere di videosorveglianza. A distanza di dieci giorni dall’incontro tra Maestri e Di Puppo, il primo avrebbe visto Barone, «quest’ultimo individuato come l’esecutore materiale del gesto intimidatorio da porre in essere, consistente nel posizionamento della classica “bottiglia” contenente liquido infiammabile». Tutti gli episodi intimidatori erano stati regolarmente denunciati dall’amministratore della società e dagli altri titolari, rivelando in un caso anche la frase contenuta nel capo d’accusa.

Barone scoperto grazie al suo profilo Facebook

Gli investigatori, nel corso delle indagini, sono riusciti ad individuare l’uomo che avrebbe posizionato la bottiglietta incendiaria, ritenendo che lo stesso fosse proprio Ivan Barone, oggi collaboratore di giustizia. Le sue dichiarazioni, in merito a questo evento delittuoso, non sono state ancora rese in “chiaro”. Tuttavia, le forze dell’ordine, comparando l’immagine estrapolata dal circuito di videosorveglianza con il profilo Facebook di Ivan Barone, hanno scoperto che l’abbigliamento utilizzato quella sera dal neo pentito fosse identico a una foto pubblicata sul famoso social network. Ovvero: un cappuccio di colore rosso; due cerniere zip di colore nero, cucite orizzontalmente all’altezza del petto, una a sinistra ed una a destra; un logo di forma rettangolare posto sulla manica sinistra, con sfondo di colore nero e con impressa un’immagine raffigurante la lettera “W“, quest’ultima di colore bianco. Indizi che hanno consentito alla Dda di Catanzaro di formulare l’imputazione nei confronti dei quattro indagati, sui quali pendono i gravi indizi di colpevolezza.

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