Cosenza, l’ultima condanna dell’ex superboss Franco Pino
Il processo Lenti-Gigliotti certifica con ogni probabilità l'addio alle scene giudiziarie di uno dei criminali più temibili e influenti del secolo scorso
Il processo Lenti-Gigliotti, conclusosi di recente in secondo grado, ha fatto tornare d’attualità la figura di Franco Pino, l’ex superboss di Cosenza diventato collaboratore nel 1995. L’uomo ha incassato otto anni di condanna per un duplice omicidio del 1986 di cui era ritenuto mandante, ma rispetto al quale si proclamava comunque innocente. La pena così mite è stata determinata, va da sé, dal suo status da pentito. Con ogni probabilità si tratta dell’ultima condanna della sua vita. Ripercorriamo brevemente quest’ultima per inquadrare uno dei personaggi più temibili e influenti del secolo scorso.
Profilo da superboss
Lo chiamavano il boss dagli occhi di ghiaccio, ma per amici e sottoposti era semplicemente «Compa’ Franco Pino». Nei suoi anni belli e ruggenti lo chiamano così anche i nemici che lo cercano per fargli la pelle. È lui, infatti, che nel dicembre del 1977 cambia per sempre la storia del crimine cosentino. Mette la firma sul delitto dei delitti, quello di Luigi Palermo alias ’U zorro, che lo accusa di aver fatto la spiata ai carabinieri in occasione della rapina a un treno.
«Alla fine degli anni ’80 io e mio fratello Dario chiedemmo a Perna se fosse vera quella storia – ricorderà molti anni dopo Nicola Notargiacomo – e ci accorgemmo che non c’era alcuna prova che le cose fossero andate in quel modo. Solo la convinzione di Perna e di Palermo prima di lui». Tuttavia, è proprio quell’infamità, vera o presunta, a segnare la svolta: avviene allora, infatti, la frattura in seno alla malavita cosentina che determina i lutti e le tragedie del decennio successivo.
Dal ritiro strategico in quel di San Lucido, ai patti stipulati con la ‘ndrangheta reggina e poi con i cutoliani, il vissuto delinquenziale di Franco Pino è quello di un boss che oltre a ordinare omicidi ed estorsioni, determina buona parte della vita sociale cosentina. Nel suo “ufficio” della Boutique dei fiori di via Panebianco riceve quotidianamente un sacco di persone. Lui stesso, anni dopo, ricorderà così quei giorni: «Venivano in cento, ognuno con un problema diverso. E la maggior parte di quei problemi li risolvevo. Sì, mi faceva sentire realizzato».
Gli anni della pace sono anche quelli dell’assalto ai grandi lavori pubblici. È la stagione dei grandi appalti e del racket che farà arricchire tanti gangster. «Non io, però. Non ho mai riciclato denaro in attività legali. Ho fatto la bella vita e l’ho speso tutto». Alla ‘ndrangheta di Cosenza ha dato un respiro internazionale, primato lugubre e a tutt’oggi ineguagliato. L’affare dell’aeroporto di Bucarest, il suo fiore all’occhiello. Fiore del male, ca va sans dire.
È sempre un passo davanti agli altri. Il segreto del suo successo è questo: fare dell’insonnia un’opportunità. E tenersi informato. «Mi sveglio ogni giorno alle sei. Mi piace ascoltare il giornale radio». Tra i suoi interessi trova spazio anche il teatro. Durante una carcerazione a metà anni ’80, si reinventa direttore di palcoscenico per “Aspettando Godot” messo in scena dai detenuti. Nel frattempo, continua a determinare tutto ciò che c’è da determinare.
I suoi “dialoghi” da pentito con Umile Arturi saranno patente di inaffidabilità per alcuni giudici, così i suoi j’accuse ai politici: su tutti, quello contro il vecchio Giacomo Mancini. Il suo pentimento chiude un’epoca. Oggi, con una nuova identità in tasca, pare si mantenga come operatore informatico. Dicono sia pure bravo. (clicca su avanti per continuare a leggere)