Per otto anni i titolari di un supermercato di Cosenza, hanno dovuto sottostare a richieste estorsive da parte della cosca degli “zingari“. Denaro e cesti natalizi, imposti regolarmente a Natale e Pasqua, sono stati al centro del meccanismo estorsivo ricostruito nel capo 84 della sentenza abbreviata del processo Reset, emessa dal giudice Fabiana Giacchetti. Imputati: undici persone tra cui Luciano Impieri, Maurizio Rango, Luigi, Antonio e Nicola Abbruzzese, Gennaro Presta, Gianluca Maestri, Roberto Junior Olibano, Antonio Marotta, Ivan Barone e Francesco Curcio.

Secondo le dichiarazioni delle vittime, tutto iniziò nel 2012, quando trovarono davanti all’ingresso del supermercato «una bottiglietta con carta e liquido infiammabile»: un messaggio inequivocabile. Consultato Luciano Impieri, questi avrebbe suggerito di «mettersi in regola come tutti gli altri commercianti», pagando 2mila euro l’anno divisi tra Natale e Pasqua.

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Dalle intercettazioni emerge la sistematicità delle richieste, tra cui una conversazione del 21 dicembre 2018 tra Presta e Maestri in cui si discuteva della qualità e del prezzo dei cesti: «Risparmiano e compariscimu… prendiamo quelli là che li tengono già fatti!». La pressione continuava ogni anno, con richieste anche in denaro, soprattutto dopo arresti tra le fila della cosca: «Magari hanno più bisogno del soldo mó hai capito compà! Sono tutti in galera!».

Le intercettazioni del 22 dicembre 2019 colgono il momento in cui una delle due persone offese avrebbe consegnato “i quattrocento” euro a Maestri, dichiarando: «Io faccio mille a Pasqua e mille a Natale… punto!». In un’altra occasione, la consegna di un cesto da 70 euro fu giustificata con una riffa organizzata da Luigi Abbruzzese.

A confermare ulteriormente il quadro probatorio, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Ivan Barone: «Io e Gianluca Maestri abbiamo reiterato le richieste estorsive… convocammo» uno dei titolari in un bar di Cosenza «gli intimammo di continuare a pagare». Barone ha anche ammesso di aver imposto a a una delle due persone offese una spesa gratuita per un amico bisognoso, poi scontata sul “pizzo”.

Le modalità erano consolidate: le somme, in contanti o in beni, venivano ritirate da diversi membri della cosca. I cesti, del valore di circa 80 euro l’uno, venivano composti su indicazione di Luigi Abbruzzese e consegnati anche al cognato (Antonio Abbruzzese), al fratello Nicola o ad altri sodali. I riconoscimenti fotografici eseguiti dalle vittime hanno confermato l’identità degli esattori.

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Secondo il giudice Giacchetti, «le dichiarazioni delle persone offese risultano oltremodo bastevoli a fondare la responsabilità di tutti gli imputati», risultando «logiche, coerenti e veritiere». Le aggravanti contestate risultano tutte integrate, inclusa quella del metodo mafioso: «La forza intimidatoria promanante dal vincolo associativo si è esternalizzata attraverso un metodo di riscossione subordinato alle esigenze della consorteria».

«Il compendio probatorio – si legge nelle motivazioni – consente di individuare compiutamente tutti i responsabili», rafforzando l’impianto accusatorio grazie alla convergenza tra intercettazioni, dichiarazioni e riscontri documentali, come i fogli con l’elenco dettagliato dei cesti, dei nomi e delle cifre consegnate. Da qui, l’affermazione della penale responsabilità per tutti gli imputati.