Esiste o no un legame tra la malavita cosentina di oggi e quella del passato? Quanto sono ancora attuali determinati personaggi che, in un tempo lontano, hanno calcato da protagonisti le scene criminali cittadine? Il processo “Reset” si proponeva di associare una risposta anche a queste domande. E le figure di Gianfranco Ruà, Gianfranco Bruni e Giuseppe Iirillo, erano lì per questo. Il responso del giudice è stato affermativo: pur avendo cambiato «forma e geometria», la ‘ndrangheta cosentina continua «a mantenere fermo il legame con alcuni dei membri che ne hanno segnato la storia».

La prova di questa continuità, a giudizio del gup, è stata raggiunta per Ruà e Bruni, seppur siano entrambi ergastolani di lungo corso, e arriva dalle intercettazioni raccolte in casa di Francesco Patitucci. Si tratta dei dialoghi in cui il capoclan affronta, insieme ad alcuni suoi accoliti, quello che per l’organizzazione è uno degli argomenti più delicati: gli stipendi da pagare ai detenuti. Sono circa una decina quelli che a cui il gruppo ha deciso di prestare assistenza. La regola è che ogni gerarca debba provvedere a mantenerne un paio. E da un’esternazione di Patitucci, pare che a lui tocchino proprio Ruà e Bruni: «Se arrassusia mi vengono meno loro, due carte al mese… e gliele devo dare».

Che poi glieli abbia dati davvero, per il giudice non cambia la sostanza del discorso: a suo avviso, entrambi sono a busta paga del clan, quindi ne fanno ancora parte a tutti gli effetti. Sul conto di Ruà, non c’è nulla all’infuori di quella mezza frase pronunciata da Patitucci; riguardo a Gianfranco Bruni, invece, nella sentenza si valorizza una visita di sua moglie fa nell’abitazione di via Fratelli Cervi per chiedere al padrone di casa un aiuto a trovare un lavoro al proprio figlio. Il boss la rassicura, anche altri esponenti del clan si stanno interessando alla vicenda. «Gianfranco deve sapere tutto» aggiunge Patitucci, «Tutto con precisione». Anche questo particolare, per la Giachetti, è indicativo dell’appartenenza di Bruni al sodalizio.

Sarà ovviamente uno dei temi più discussi nel futuro processo d’appello, ma per il momento il tutto si traduce nelle condanne di primo grado inflitte ai due imputati: tredici anni e otto mesi di reclusione a Ruà e undici per Bruni. La differenza di pena si spiega con il ruolo di «capo promotore» riconosciuto solo al primo con tanto di citazione tratta dalla sentenza “Garden”.

I due, però, erano sotto processo anche per favoreggiamento aggravato dalle finalità mafiose per via delle confessioni rese da entrambi durante il processo Lenti-Gigliotti che, secondo l’accusa, avevano la finalità di scagionare Patitucci dall’accusa di omicidio. Rispetto a questo capo d’imputazione, però, Bruni e Ruà sono stati assolti perché agli atti del dibattimento, non c’erano i verbali con le dichiarazioni incriminate rese durante quel processo conclusosi poi con la condanna di Patitucci all’ergastolo.

La condanna per associazione mafiosa è scattata anche per un’altra vecchia conoscenza che si riteneva in sonno fin dalla seconda metà degli anni Ottanta. Giuseppe Iirillo alias “Vecchiarella”, infatti, è stato in prima linea ai tempi della prima guerra di mafia a Cosenza, ma da allora se n’erano perse praticamente le tracce. Riappare a febbraio del 2020 sulla soglia di casa Patitucci. «Amico mio, ti eri perso», lo canzona Rosanna Garofalo; «Pinuzzo non si perde» motteggia il boss. Per il giudice è una prova, la prima.

La seconda rimanda a una conversazione marzolina tra moglie e marito, sempre nel salotto di via Fratelli Cervi. Patitucci deve incassare dei soldi da Michele Di Puppo, ma non sa come fare a incontrarlo. Violerebbe le misure di prevenzione, circostanza che lo riporterebbe in carcere. E così chiede a Rosanna Garofalo e Silvia Guido di recapitargli questo messaggio: «Miché, se tu non vuoi, vedi se Vecchiarella glieli porta a casa».

L’ultimo indizio si materializza sei mesi dopo, a settembre, quando Iirillo fa capolino di nuovo in via Fratelli Cervi e Patitucci gli assegna un compito, un tale ha mancato di rispetto a suo nipote e il boss vorrebbe recapitargli questo messaggio poco rassicurante: «Ha detto Francesco che con gli apache (gli zingari, ndr) puoi avere tutta l’amicizia del mondo, ma dove hai i piedi ti ci fa cadere la testa». A nulla è valso che, con indagini difensive, la difesa abbia dimostrato che Iirillo non ha mai incontrato questa persona né si è recato ad appuntamenti con Di Puppo. Per il giudice, «il rapporto di fiducia» tra lui e Patitucci, per come emerge dalle intercettazioni, è già «dimostrativo della sua partecipazione all’associazione». Un ragionamento che vale dieci anni e otto mesi. Di carcere.