«Come Laboratorio Civico Calabria, vogliamo raccontarvi una storia. Non è una favola, ma la cronaca amara di un sogno spezzato. È la storia di Rende, una città che aveva osato sperare, guidata da una classe amministrativa giovane, competente e piena di quell’entusiasmo contagioso che è il motore di ogni vera rinascita. Avevano un piano, idee chiare e la fiducia dei loro cittadini. Ma quel sogno è stato brutalmente interrotto.

Tutto è crollato sotto il peso di un’inchiesta, l’operazione “Reset”, che ha proiettato un’ombra cupa e infamante sull’amministrazione. Sulla base di accuse di scambio elettorale politico-mafioso, il Ministero dell’Interno ha agito con la rapidità di un boia, senza attendere un verdetto. Il 27 giugno 2023, il Consiglio comunale di Rende è stato sciolto per infiltrazioni mafiose.

La democrazia è stata messa in pausa, la città paralizzata, i suoi amministratori marchiati a vita. Poi, è arrivata la giustizia. Quella vera, celebrata nelle aule di un tribunale. E ha urlato una verità opposta, assordante. L’ex sindaco Marcello Manna e l’ex assessore Pino Munno sono stati assolti con la formula più piena e liberatoria: “perché il fatto non sussiste”.

Non c’erano prove sufficienti. Semplicemente, non c’era un reato. Le accuse, che avevano giustificato la decapitazione di un’intera amministrazione, si sono rivelate inconsistenti, un castello di carte crollato al primo soffio di un dibattimento serio. Ma il danno, nel frattempo, era già stato fatto. Un danno profondo, strutturale, che ha colpito al cuore la comunità, privandola non solo della sua guida democratica, ma anche della possibilità concreta di crescere e svilupparsi. Lo scioglimento ha innescato una reazione a catena devastante.

La commissione straordinaria, nominata da Roma, ha agito come un corpo estraneo, indifferente alla visione di sviluppo della città. Con un atto di incredibile arroganza, ha revocato il Piano Strutturale Comunale, lo strumento che disegnava il futuro di Rende per i prossimi vent’anni, azzerando anni di lavoro e partecipazione democratica. Finanziamenti importanti sono andati persi per sempre, progetti già avviati si sono dissolti nell’inerzia, interi percorsi di rigenerazione urbana e sociale sono stati bruscamente interrotti.

Opere pubbliche strategiche sono state bloccate, mentre la città, un tempo faro di innovazione in Calabria, è stata ricacciata indietro, privata di ogni slancio e prospettiva. A tutto questo si aggiunge un’ulteriore beffa: Rende era ormai vicina a uscire dal predissesto finanziario, traguardo che gli amministratori avevano conquistato con anni di scelte coraggiose, sacrifici e una gestione oculata e responsabile. Un percorso faticoso di risanamento, che oggi altri rischiano di intestarsi, ignorando chi ha realmente lavorato per rimettere in piedi i conti della città. Anche questo è parte del danno: la cancellazione della memoria politica di chi ha costruito, silenziata da un provvedimento che la giustizia ha già smentito.

E le persone? Gli amministratori, colpevoli solo di aver creduto nel loro territorio, si sono visti giudicati, umiliati e messi da parte. Le loro biografie politiche sono state annientate, il loro futuro cancellato non da una sentenza di condanna, ma da un sospetto poi rivelatosi infondato. E non illudiamoci, quella di Rende non è una tragica eccezione. È il sintomo di una malattia sistemica, una ferita che continua a sanguinare in tutta Italia. Pensiamo a Scanzano Jonico, in Basilicata, un comune sciolto nel 2019 senza che vi fosse nemmeno un’indagine penale a carico degli amministratori. Il pretesto?

Elementi labili, come l’organizzazione di un concerto. Pensiamo a Bovalino, in Calabria, dove la giustizia amministrativa ha sancito un principio agghiacciante: per sciogliere un comune non serve la prova di una collusione, basta la presunta “inadeguatezza” a resistere alle pressioni mafiose. O a Tropea, gioiello del turismo italiano, la cui immagine è stata macchiata da uno scioglimento arrivato come un fulmine a ciel sereno, spazzando via un’amministrazione e gettando la città nell’incertezza. E ancora Giugliano in Campania, dove lo stigma dello scioglimento perseguita gli amministratori per anni, costringendoli a difendersi da una “macchina del fango” che nessuna assoluzione sembra poter fermare.

In tutti questi casi, la storia si ripete: amministratori travolti, comunità paralizzate e, alla fine, assoluzioni che arrivano quando è troppo tardi. La giustizia fa il suo corso, ma la democrazia, nel frattempo, è già stata sospesa. Tutto questo ci costringe a una riflessione profonda e urgente sulla legge che permette tutto ciò. Nata come scudo per difendere la legalità, la normativa sullo scioglimento dei comuni per mafia, se applicata in modo affrettato e sulla base di semplici sospetti, si trasforma in un boomerang istituzionale.

Diventa un’arma che distrugge biografie, devasta comunità e soffoca la speranza, calpestando uno dei principi più sacri del nostro ordinamento: la presunzione di innocenza. Come cittadini, come Laboratorio Civico, ci interroghiamo e vi invitiamo a interrogarvi. Davvero si può cancellare un’intera classe dirigente per un sospetto? Davvero possiamo accettare che la vita di una comunità venga stravolta da un provvedimento amministrativo che poi un tribunale smentisce categoricamente? La domanda che ci poniamo, e che poniamo a tutti voi, è questa: dove finisce la sacrosanta lotta alla mafia e dove inizia, invece, la morte lenta della democrazia locale?»