Il pizzaiolo di Corigliano Rossano ha reinventato la pizza al taglio dandole una nobiltà che gli è valso il riconoscimento da Gambero Rosso, Identità Golose e Top 50 Pizza in viaggio in Italia. Tutto è partito da una grande scommessa
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«Assolutamente sì, pizzaiolo, mi piace. È una parola che oggi mi rende giustizia». Daniele Campana ha trasformato in arte un mestiere che oggi ha un altro rango rispetto al passato. Il successo lo ha illuminato nella sua piena maturità professionale e l’ultimo riconoscimento da appuntare alla casacca è il terzo posto nella Top 50 Pizza in Viaggio in Italia, classifica che celebra le migliori pizze al taglio dello Stivale.
«Se penso a quando siamo partiti, nel 1990, con la mia famiglia… adesso tutto sembra incredibile. Ma è stato un cammino lungo, pieno di sacrifici».
L'avventura di Daniele comincia a Corigliano Rossano, dove il padre di Daniele apre una pizzeria. Erano i meravigliosi anni '90. Un tempo in cui la pizza veniva vista come semplice cibo da festa, accompagnamento a un evento, non certo come prodotto gourmet.
«Il mestiere del pizzaiolo, da piccolo, lo guardavo con tristezza. Era il rifugio di chi non riusciva a scuola, non sai fare altro? Bene, allora puoi fare il cuoco, il pizzaiolo, il cameriere. Non potevo accettare che un lavoro così bello fosse associato al concetto di fallimento».
Così Daniele decide di ribaltare la narrazione. E non solo per sé. «Volevo che un giorno, se i miei figli avessero deciso di diventare pizzaioli, potessero farlo con orgoglio. Da professionisti».
Quando nel 2007 il padre va in pensione, gli cede la pizzeria. «Mi chiede: “La vuoi la pizzeria?”. Gli rispondo di sì, ma aggiungo: “Cambierò un po’ di cose, voglio guardare a 25 anni da oggi, non al passato”». Un’affermazione che segna un punto di svolta. Da lì parte la rivoluzione di Campana.
I primi tempi sono durissimi. La qualità, si sa, non è immediatamente compresa. Se prima si producevano 200 teglie al giorno, dopo il passaggio di gestione si arriva a 5 o 6. Un crollo verticale. «Però non ho mai dato la colpa ai clienti. Sapevo che stavo proponendo qualcosa di diverso, forse troppo avanti. L’errore era mio, non loro. Era una proposta che non riconoscevano». Ma la direzione è chiara: trasformare il trancio di pizza, spesso sottovalutato, in un prodotto d’alta cucina.
«Applicavo tecniche di cucina importanti. Già nel 2007 proponevamo fragole, ’nduja e ricotta affumicata su una pizza. La gente entrava e mi guardava come fossi matto». Eppure, quel trancio “sperimentale” sarebbe poi diventato la Pizza dell’anno per il Gambero Rosso. Una scommessa che richiedeva palato, tecnica, ma soprattutto pazienza.
Per allenare il gusto, Campana sceglie un metodo tutto suo: «Organizzavo le vacanze in base ai ristoranti. Senigallia, per esempio, è una città che mi ha dato tantissimi stimoli». Da cliente attento, più che da cuoco, ha costruito un sapere fatto di equilibri e contrasti, di sapori inattesi e affinità sorprendenti. «Il mio studio è iniziato da lì, da ciò che assaggiavo. Vacanze a mangiare: una palestra del palato».
Oggi, la sua pizzeria è un laboratorio permanente di eccellenze calabresi. La materia prima è il centro di tutto, ma con una visione ampia, quasi etica. «Per me la Calabria è chilometro Calabria, non chilometro zero. Da Rocca Imperiale a Reggio ci sono 25 monovarietà di olive, ognuna con una storia e un’identità».
Nasce così anche la carta degli oli, una trovata pionieristica che abbina a ogni pizza un olio extravergine selezionato con cura maniacale. «L’idea mi è venuta lavorando con i migliori. In particolare la famiglia Librandi, di Vaccarizzo, per me oggi i migliori produttori d’olio in Italia». L’olio, in Campana, diventa come il vino nei grandi ristoranti: accompagna, esalta, racconta il territorio.
Ma il vero ingrediente segreto resta il fattore umano. «Ho cambiato tante persone intorno a me. Poi, col tempo, ho trovato quelle giuste. Quelle che, oltre alla materia prima, mettono in quello che fanno un quid che fa la differenza». La sua pizza, oggi, ha una firma inconfondibile: «Se vieni da Campana, trovi un gusto che puoi trovare solo qui. Unico. Questo era il mio obiettivo».
Un progetto che sembrava utopico, e che invece oggi è diventato realtà. I riconoscimenti sono arrivati uno dopo l’altro: gli spicchi del Gambero Rosso, l’ingresso in Identità Golose, la consacrazione nella Top 50 Pizza. Ma non è stato un successo calato dall’alto. È stato il frutto di perseveranza e auto-promozione intelligente.
«Un giorno scrissi a una persona sui social: “Guarda che c’è un pizzaiolo calabrese che fa delle cose particolari, forse è il caso di parlarne”. Quel pizzaiolo ero io. E lui, incuriosito, venne davvero a trovarmi. Da lì partì tutto». Una storia quasi da romanzo, che si intreccia con la pandemia e i cambi di sede. La vecchia pizzeria al civico 80, poi lo spostamento all’82 in piena crisi sanitaria, e infine Campana 12: dodici posti, solo menù degustazione.
«Oggi sto lavorando sulle mie pizze signature con una prospettiva di vent’anni. Le sto rileggendo con occhio critico. Ad esempio, la Sole – la pizza con fragole, ’nduja e ricotta affumicata – l’ho trasformata in un dessert. Un cookie churri con crema di fragole e ricotta affumicata sopra. Una pizza che diventa dolce, e viceversa.»
È il segno di un'evoluzione continua. Di una creatività che non si ferma. Di un pizzaiolo che ha saputo guardare oltre il forno, oltre i confini regionali, oltre gli stereotipi.