Sicilia e Puglia sono punti di riferimento lontanissimi, quasi irraggiungibili. Se la Calabria riuscisse a mettersi al livello delle sue vicine (e, in teoria, competitor) potrebbe (in effetti dovrebbe) attirare 3 milioni di turisti in più ogni anno. Almeno per adesso è più un miraggio che una prospettiva concreta. 
Lo mette nero su bianco il Piano di sviluppo turistico sostenibile che approderà in Consiglio regionale il 14 febbraio. 

Gap storico, basta una frase per chiarirlo: le due regioni confinanti «hanno registrato un numero di arrivi circa tre volte superiore a quello della Calabria», che è quart’ultima in Italia per presenze turistiche e addirittura terz’ultima per la quota di turisti stranieri. La premessa del Piano licenziato dalla giunta regionale analizza lo stato dell’arte e costruisce un percorso per provare a migliorare il trend. 
Altra parola chiave abusatissima: stagionalità

Il termine descrive (purtroppo) alla perfezione le caratteristiche della domanda turistica calabrese. È cosa risaputa: «i flussi turistici della Calabria, in linea con le altre regioni del Sud, sono caratterizzati da un’elevata concentrazione in determinati periodi dell’anno». Sembra banale, ma la dinamica pesa sulla gestione dell’overtourism, cioè la congestione delle strutture nel periodo di picco delle presenze e «in una maggiore difficoltà per le aziende turistiche di ripartire le spese annuali o fisse».

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