Maurizio Abate è una persona «intemperante e dissoluta», non aliena «a eccessi di violenza», ma non v’è certezza che sia anche un assassino. Quantomeno, «non oltre ogni ragionevole dubbio». È questa, in estrema sintesi, la motivazione addotta dal giudice per assolvere l’ex poliziotto della Stradale di Cosenza finito sotto processo per un omicidio commesso il 9 gennaio del 2005, quello dell’allora ventitreenne Lisa Gabriele.

I sospetti che si erano addensati di lui, per via della burrascosa relazione sentimentale intrattenuta con la vittima, sono rimasti tali, senza assurgere al livello di prove. Da qui, insomma, la sua assoluzione con formula dubitativa, ma con una pietra miliare posta dallo stesso giudice a futura memoria: quello della ragazza di Rose, trovata priva di vita in un’altura di Montalto Uffugo, fu certamente un omicidio.  

Nelle 140 pagine che compongono la sentenza si ripercorrono tutte le tappe della vicenda: il ritrovamento del corpo, la prima ipotesi di suicidio messa in dubbio dall’autopsia, le indagini che si chiudono con un nulla di fatto e poi ripartono, tredici anni dopo, sulla spinta di una lettera anonima che punta il dito proprio contro Abate, persona d’interesse fin dalla prima ora.

Gli indizi raccolti sul suo conto, al netto di altre piste alternative battute durante l’inchiesta, vertevano sulle testimonianze di ex colleghi e familiari, su quella del pentito Francesco Galdi che lo accusa di essere addirittura contiguo ad ambienti criminali nonché su una sfilza di intercettazioni da cui, però, non è stato possibile ricavare nulla di utile ai fini probatori. Quasi certamente, rileva il giudice, l’ex poliziotto mente quando afferma di aver chiuso i rapporti con Lisa Gabriele molto tempo prima della sua morte. Con buone probabilità, l’ha incontrata proprio nei suoi ultimi giorni di vita, il 7 gennaio del 2005, ma è un dato che se certificato – e non lo è – non basterebbe comunque a farne un colpevole.

Il movente suggerito dall’estensore anonimo della missiva e poi battezzato dalla Procura era una variante di quello passionale. In tal senso, Abate, sposato e in attesa di un figlio da un’altra donna, avrebbe voluto sbarazzarsi di quella ragazza che non si rassegnava alla fine della loro relazione ed era arrivata addirittura al punto di simulare una gravidanza. Al riguardo, è emerso che in almeno un’occasione, l’imputato avrebbe aggredito fisicamente la povera Lisa Gabriela, spedendola in ospedale a causa delle botte ricevute. Un pestaggio avvenuto però in data non meglio precisata, comunque non a ridosso del gennaio fatale, tutto ciò a corollario di un movente ritenuto «poco convincente» dal magistrato giudicante.  

Ampio spazio, nelle motivazioni, è riservato anche alle sciatterie investigative dell’epoca. Disattenzioni marchiane che hanno indotto gli inquirenti a ipotizzare l’esistenza di veri e propri depistaggi dietro la vicenda. Il caso più emblematico è quello del telefonino della vittima su cui, durante il processo, diversi esperti informatici si sono accaniti nel tentativo di riaprirlo. Impresa non riuscita, ma neanche tentata all’epoca dei fatti, quando il cellulare, per una strana amnesia, non fu inviato al Ris di Messina unitamente agli altri reperti del caso. E così, dopo oltre dieci anni, si è presentato agli occhi dei tecnici forensi come un ferrovecchio inutilizzabile.

Cosa nascondeva quel vecchio Nokia? Va da sé che, qualora al suo interno vi fossero elementi in grado di portare all’assassino, quest’ultimo lo avrebbe fatto sparire, non lo avrebbe lasciato certo sulla scena del crimine. Una possibile risposta, dunque, va ricercata nel contesto sociale e affettivo in cui si muoveva all’epoca la povera Lisa. Nelle sue relazioni sentimentali – quella con Abate non era l’unica – e nelle amicizie da lei coltivate. Se davvero c’è qualcuno che ha ostacolato la ricerca della verità, potrebbe averlo fatto nel timore che un’indagine per omicidio facesse venire a galla altre vicende di contorno, piccoli segreti di provincia su cui bisognava far calare il sipario. Inquinamento più depistaggio, insomma, e il risultato è che quasi vent’anni dopo, come e perché sia morta Lisa Gabriele, nessuno può dirlo con certezza. È solo una sentenza di primo grado, vedremo se la Procura intenderà ricorrere in Appello.