C’è chi dice NO
Sonora sconfitta per il centrodestra e il Pd. Politica sempre più distante dai cittadini che di contro non si recano alle urne. Un dato che deve far riflettere
Nelle note immortali di Vasco Rossi, “C’è chi dice NO” è un inno alla ribellione, alla scelta controcorrente, alla fermezza di chi non si piega a un destino imposto. E forse mai come oggi, quelle parole riecheggiano nella scelta delle comunità di Cosenza, Rende e Castrolibero, che hanno espresso un secco rifiuto alla proposta di fusione in un’unica città metropolitana. Il referendum, atteso come uno snodo cruciale per il futuro amministrativo e sociale dell’area urbana, si è concluso con un chiaro NO, soprattutto dai cittadini di Rende e Castrolibero, dove il verdetto è stato quasi plebiscitario.
Un rifiuto, non solo alla fusione
Non è solo l’idea della fusione a essere stata bocciata. Il risultato sembra racchiudere un messaggio più profondo e, forse, più amaro: una disaffezione verso la politica e le istituzioni locali, percepite come distanti dai bisogni reali dei cittadini. L’affluenza limitata alle urne è il segnale più evidente di una comunità che non si sente coinvolta e che non si riconosce nelle proposte calate dall’alto. Quando solo una minoranza partecipa, il mandato democratico perde forza, e il referendum, da occasione di confronto, diventa un termometro di disillusione.
Città unica Cosenza Rende Castrolibero, il significato di quel NO
A dire NO sono stati soprattutto i cittadini di Rende e Castrolibero, che hanno visto nella fusione un rischio più che un’opportunità. Temono la perdita di autonomia, il rischio di una centralizzazione delle decisioni su Cosenza, e forse, più profondamente, non vedono nei promotori del Sì una visione concreta e condivisibile del futuro. È mancato un dibattito che coinvolgesse davvero la popolazione, che spiegasse non solo i vantaggi, ma anche le implicazioni pratiche di questa trasformazione epocale.
Il nodo della politica locale
La scarsa partecipazione e il trionfo del NO mettono a nudo un problema più ampio: la politica locale, incapace di interpretare e intercettare i bisogni della comunità. In molti percepiscono una distanza tra chi governa e chi vive i territori, una politica che sembra pensare più alla gestione del potere che al bene comune. La fusione, da progetto di rilancio e crescita, è apparsa come l’ennesima operazione burocratica, priva di anima e visione.
E ora?
Se la fusione sembra ormai tramontata, resta il compito più difficile: ricucire il rapporto tra istituzioni e cittadini. La bocciatura del progetto non deve diventare un’occasione persa per riflettere sulle esigenze reali di Cosenza, Rende e Castrolibero. Cosa chiedono i cittadini? Quali sono le loro priorità? La risposta non si trova nelle stanze dei consigli comunali, ma nei quartieri, nelle piazze e nelle scuole.
Un futuro tutto da scrivere
Il voto ha detto NO, ma non ha cancellato i problemi che il progetto di fusione intendeva affrontare: frammentazione, inefficienza e isolamento. La sfida ora è trovare soluzioni alternative, che mettano al centro le persone, e non solo le mappe amministrative. In fondo, come canta Vasco, dire NO non è mai solo una negazione: è un’affermazione di ciò che conta davvero. Una chiamata alla coerenza, al coraggio, e alla responsabilità.
Vincitori e vinti
A vincere sono stati Sandro Principe, Mimmo Talarico e Orlandino Greco che dal primo momento si sono opposti alla fusione. Ne hanno contestato le modalità, aprendo a un discorso futuro su altri presupposti. A perdere è stato il centrodestra e il Pd. Mario Occhiuto ieri sera non ha parlato dopo aver pubblicato post a ripetizioni sui social. L’unico a metterci la faccia è stato Pierluigi Caputo che da giovane politico ha dimostrato coraggio, criticando neanche tanto velatamente il sindaco di Cosenza Franz Caruso che, dal suo punto di vista, non si è impegnato per il Sì alla costituzione della città unica. Non pervenuto infine il Pd. Di una cosa tuttavia siamo certi: l’appuntamento con la fusione è soltanto rimandato. Forse al 2026.