venerdì,Febbraio 14 2025

Il rapimento della piccola Sofia: le radici psicologiche di un gesto estremo

Il rapimento della neonata Sofia Cavoto nella clinica Sacro Cuore di Cosenza apre riflessioni sul disagio psicologico e le dinamiche sociali alla base di gesti estremi

Il rapimento della piccola Sofia: le radici psicologiche di un gesto estremo

Il caso del rapimento della neonata Sofia Cavoto, avvenuto nella clinica Sacro Cuore di Cosenza per mano di Rosa Vespa e Acqua Moses, ha sconvolto l’opinione pubblica e portato a profonde riflessioni sulle radici psicologiche e sociali di un gesto tanto estremo.

Secondo il professor Vittorino Andreoli, psichiatra e neurofarmacologo intervistato dal Corriere della Sera, dietro un atto come questo si cela spesso un desiderio frustrato di genitorialità che si trasforma in ossessione. “Non si tratta di amore per un figlio”, spiega Andreoli, “ma di bisogno di dominio o di possesso”.

Regressione infantile e immaturità

L’episodio di Cosenza, in cui la coppia ha persino cambiato il vestito della bambina da rosa ad azzurro per fingere che fosse un maschio, richiama dinamiche di regressione infantile. Per Andreoli, questo comportamento richiama “il gioco delle bambole”, ma qui assume una dimensione patologica. Non si tratta di una fantasia innocua, bensì di un’ossessione che spinge a gesti estremi, come un rapimento, ignorando completamente il dolore inflitto sia alla famiglia della bambina sia alla piccola stessa.

Il contesto sociale e il peso della personalità

Andreoli sottolinea che il contesto sociale, pur avendo un ruolo, passa in secondo piano rispetto alla personalità degli autori di tali gesti. “Viviamo in una società che spesso lega il valore della donna alla maternità”, osserva, “ma in questa storia credo pesi di più il disturbo di personalità”. Segnali di disagio, come un’ossessione per la gravidanza o per l’educazione dei figli, possono essere campanelli d’allarme evidenti.

Un progetto delirante

Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, offre un’ulteriore analisi sul caso, descrivendo il gesto come il frutto di un “progetto delirante”. Intervistato da La Stampa, Lancini spiega che la coppia potrebbe aver sviluppato una fantasia patologica per superare una difficoltà personale, trasformandola in un delirio.

“Quando non si riesce a elaborare una mancanza, come quella di non poter avere figli, si costruisce una realtà parallela”, afferma Lancini. Questa fantasia, però, non rimane tale: diventa un’ossessione, una fuga dalla realtà che sfocia in un gesto violento, come il rapimento di un neonato.

La società algofobica

Lancini descrive il contesto sociale come una “società algofobica”, incapace di tollerare il dolore e la rinuncia. In un’epoca in cui la vita privata diventa sempre più pubblica, anche attraverso i social, il desiderio frustrato di maternità può trasformarsi in una “pornografizzazione delle esperienze personali”, aggravando il disagio emotivo e alimentando gesti estremi.

La dinamica della coppia

Un aspetto cruciale del caso è la dinamica tra Rosa Vespa e Acqua Moses. Secondo Lancini, le coppie che condividono un malessere psicologico possono diventare più pericolose dei singoli individui. “In questi casi, il malessere individuale si trasforma in un progetto condiviso, amplificando il rischio di gesti estremi”, spiega.

La scelta di portare via un neonato non è solo un atto di violenza contro una famiglia, ma rappresenta anche un fallimento nella capacità di affrontare il dolore e la realtà. “Quando c’è un dolore”, conclude Lancini, “l’azione diventa sempre violenta: verso sé stessi o verso gli altri”.

Il ruolo della prevenzione

Gli esperti concordano sull’importanza di un intervento preventivo, che passi anche attraverso un’alfabetizzazione emotiva degli adulti. Riconoscere e affrontare i segnali di disagio psicologico potrebbe prevenire situazioni estreme come quella accaduta a Cosenza.

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