Si riapre in Appello l’istruttoria del processo contro Francesco Patitucci, già condannato in primo grado all’ergastolo per il duplice omicidio Lenti-Gigliotti, avvenuto nel febbraio del 1986, quando lui era appena venticinquenne. A stabilirlo sono stati i giudici che il prossimo 17 ottobre i giudici sentiranno nuovamente Franco Pino, anche lui imputato in questo processo nelle vesti di mandante. Il motivo di questa frenata è un verbale d’interrogatorio dell’ex boss risalente al 1997 e calato ieri in aula dai difensori di Patitucci, Nicola Di Renzo e Laura Gaetano. In quel documento, Pino indica gli assassini di Marcello Gigliotti e Francesco Lenti in Gianfranco Ruà, Gianfranco Bruni e Demetrio Amendola. Fa accenno poi alle modalità di esecuzione del crimine e afferma che il primo a essere ucciso fu Lenti, seguito poi a ruota da Gigliotti.

Perché per la difesa è importante

In quel verbale, a differenza di tutti gli altri in cui tocca l’argomento Lenti-Gigliotti, Pino esclude Patitucci dal novero degli esecutori materiali e, secondo Di Renzo e Gaetano, ammanta di credibilità le confessioni rese da Bruni e Ruà a processo in corso. Anche loro, infatti, scagionavano il vecchio compagno d’arme dal coinvolgimento in quella brutale epurazione dei due affiliati del loro gruppo che la Dda vuole sia avvenuta, invece, proprio a casa di Patitucci, nelle campagne rendesi, dove le vittime erano state attirate con un tranello. Il vero bersaglio sarebbe stato Gigliotti, scheggia impazzita che a suon di rapine e omicidi commessi in autonomia disturbava i piani dell’organizzazione. Lenti, che all’epoca faceva coppia fissa con lui, avrebbe rivestito in quel caso solo il ruolo di vittima collaterale. La tesi d’accusa vuole che proprio quest’ultimo sia stato il primo a cadere, con gli assassini che poi lo decapitano allo scopo di terrorizzare Gigliotti. Poi, dopo aver interrogato l’elemento superstite della coppia, i presenti l’avrebbero fatta finita pure con lui. Bruni e Ruà suggeriscono invece un ordine inverso di esecuzione e Pino, ora, dovrà chiarire perché nel 1997, in quel verbale redatto dai carabinieri in forma riassuntiva, sembra affermare anche lui la stessa cosa.

Un processo tormentato

Si tratta di una vicenda giudiziaria a dir poco tormentata. Quello di mandante del duplice omicidio infatti, è un ruolo che Franco Pino rifiuta di attribuirsi. Al contrario, l’ex boss punta il dito contro l’altro monarca del gruppo, il defunto Antonio Sena, e sostiene di aver fatto di tutto per salvare la vita a quei due ragazzi. A tal proposito, durante il processo di primo grado, si è registrato anche un drammatico confronto all’americana tra lui e Ruà che, diversamente, sostiene di aver preso ordini sempre e solo da lui. Vicenda tormentata dicevamo, lo è stata anche nella stesura e successiva riscrittura delle sentenze, nessuna delle quali ancora definitiva. Bruni e Ruà, giudicati separatamente in abbreviato, incassano trent’anni al termine del primo grado di giudizio. Sono entrambi ergastolani perché condannati in via definitiva per altri omicidi e all’inizio del processo d’appello, mentre a Cosenza è in corso il dibattimento che riguarda Pino e Patitucci, rendono le confessioni richiamate in precedenza. I giudici danno loro credito e riducono la pena a vent’anni di carcere ciascuno. Il loro intervento non migliora la posizione di Patitucci che, al termine del suo processo, ottiene un biglietto di sola andata per il carcere. Pino, riconosciuto anche lui colpevole, incassa dieci anni di pena. Nel frattempo, si rimescolano le carte anche per Bruni e Ruà. La Cassazione annulla il verdetto “mite” che li riguarda e ordina la celebrazione di un nuovo Appello. Stavolta, i giudici non credono alle loro confessioni e il risultato è l’ergastolo per entrambi. A causa di questa vicenda, Bruni e Ruà si ritrovano oggi imputati nel processo “Reset” con l’accusa di favoreggiamento aggravato dalle finalità mafiose.