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Un noto bar, tra le attività più frequentate di Cosenza, era inserito in una lista non ufficiale di esercenti “obbligati” a versare denaro alla criminalità organizzata locale. Prima a Francesco Patitucci, poi, dopo il suo arresto, a esponenti del gruppo degli “zingari”. È quanto emerge dalla sentenza del processo abbreviato Reset, che al capo 65 accerta l’estorsione aggravata ai danni dei titolari dei due titolari.
Secondo il gup del tribunale di Catanzaro Fabiana Giacchetti, l’assoggettamento del bar a pagamento sistematico di somme in favore delle consorterie mafiose sarebbe documentato sia dalle intercettazioni ambientali sia dalle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia. Tra questi, Adolfo Foggetti, che racconta di un incontro tenutosi nel 2011 dopo l’arresto di Patitucci: «Tutti i presenti notavano che una facoltosa attività imprenditoriale, non era presente nella lista delle vittime di estorsione, pertanto io e Luciano Impieri ci siamo recati al bar, ove abbiamo parlato col proprietario, chiedendogli un pensiero per i carcerati». Una delle due persone offese, «rispose che era a posto perché pagava nelle mani di Patitucci».
Una versione confermata da Luciano Impieri nell’interrogatorio dell’8 marzo 2018: «Nel momento in cui chiesi i soldi dell’estorsione per conto del mio gruppo, Enzo, il proprietario del bar, mi disse che già dava un “regalo” a Patitucci Francesco tramite la moglie Rosanna. Disse che era lui personalmente a portare il regalo presso un negozio di dolciumi di cui Rosanna era proprietaria».
Per il giudice, il pagamento non sarebbe stato episodico, bensì sistematico, e confermato anche da una conversazione intercettata tra Patitucci e Michele Di Puppo, risalente al 2 aprile 2020. Durante quel colloquio, i due discutevano delle difficoltà causate dal lockdown, che impediva la riscossione del pizzo: «Non si riscuote niente, Francé…», osservava Di Puppo.
Le motivazioni della sentenza parlano chiaro: «Nessun dubbio sussiste quanto alla responsabilità di Patitucci in quanto, oltre ad essere menzionato quale autore del delitto da entrambi i collaboratori, soccorre a riscontro l’intercettazione ambientale». E ancora: «Si impone una sentenza di condanna anche nei confronti di Adolfo Foggetti e Luciano Impieri, i quali si autoaccusano quanto al concorso nell’estorsione contestata».
Per tutti e tre è stata riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso ex art. 416 bis.1: «L’imprenditore veniva avvicinato dagli esponenti della consorteria degli “zingari”, i quali chiedevano un “pensiero per i carcerati”, chiarendo i termini della richiesta». Il bar era già stato sottoposto ad estorsione da parte di Patitucci, e successivamente la riscossione passò sotto il controllo del gruppo “zingari”, ma «pur sempre orientata al mantenimento, rafforzamento o agevolazione dell’associazione».
Resta invece insufficiente la prova per altri soggetti nominati nel corso dell’indagine. In particolare, la sentenza ha sancito l’assoluzione di Michele e Umberto Di Puppo, Maurizio Rango e Daniele Lamanna, per assenza di riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori. «Il materiale probatorio raccolto non risulta sufficiente a determinarne la condanna», scrive il giudice.