Siamo soliti credere che il web e le social communities abbiano alimentato il nostro senso di vanità, ma ci pare di potere dire che così siamo sempre stati, aggiungendo semmai al nostro arco un’ulteriore strumentazione. Il rapporto con l’informazione digitale deve invece essere improntato alla legittimazione e alla ricaduta collettiva della libertà individuale: il lavoro non sarà mai solo vetrina, se dietro non c’è un progetto che reca istanze di condivisione. Proprio perché sentivo di muovermi in questo campo, ho aderito subito e con entusiasmo alla Summer School sulle radici calabresi del Mediterraneo che si svolgerà a Torre d’Albidona (nell’Alto Jonio cosentino, vicino Corigliano-Rossano) tra il 25 e il 28 Maggio.

Mi ha convinto il taglio, che porta studiosi di tanti campi – in maggioranza diritto, ma anche antropologia, storia, religioni – a misurarsi in un contesto aperto e proficuo, abilmente orizzontale, con una platea di corsisti che vengono dalle università calabresi e dagli ultimi due anni delle scuole superiori, insieme alle probabili rappresentanze locali di cultori, curiosi, professionisti, in un clima di cooperazione e approfondimento che è il sale di ogni proposta di summer schooling.

Alle nostre latitudini, non è più tempo, se mai poteva esserlo stato, di autoreferenzialità, programmi e ricette confezionati ancora prima di “andare in onda”. Mi è piaciuta, certo, la possibilità di trovare, nel comitato scientifico e nella scuola, tanti amici e amiche con cui si sono condivise esperienze, temi o motivi di studio, iniziative di coscienza civile, frammenti di vita: la qualità del legame umano arricchisce, non inaridisce, la possibilità di effettuare un serrato lavoro sul campo. Ho trovato encomiabile lo sforzo logistico compiuto dal gruppo già formatosi tra Corigliano e Rossano, eccezionale la location, una di quelle piccole gemme di Calabria che queste iniziative possono avere la funzione, chiaramente secondaria (ma mai inessenziale), di valorizzare e far conoscere al “pubblico straniero” di relatori, docenti, frequentanti, media e neofiti. Mi confesso, però in questo, conservatore.

I due motori sostanziali di un percorso virtuoso di questo tipo sono stati primariamente due. In primo luogo, ha avuto un ruolo di grande rilievo la possibilità di garantire quattro giorni di lavoro, con relativi pasti, supporti didattici e pernottamento, a dei giovani e giovanissimi con un esborso che definire “politico” è poco: calmierato per bilanciare risorse e accessibilità, massimizzazione della partecipazione e fruizione improntata a un clima vero di “ospitalità dal basso”. In più, ho trovato che l’ossatura della Summer School non gravitasse intorno alle solite semplificazioni che vivono eventi di questo tipo, all’insegna di un comprensibilissimo, ma troppo limitato, mordi e fuggi che fa suonare la grancassa una volta all’anno e poi tiene in sonno gli spunti migliori.

A guidare questo gradevolissimo “spin off” della Summer School è infatti una realtà associativa di imminente costituzione che si è data uno statuto di pontiere tra le mille esigenze inevase del territorio: la possibilità di aprire le scuole superiori e i primi anni del ciclo universitario a un’internazionalizzazione rafforzata che guarda in primo luogo al Mediterraneo, al di là della organizzazione di Stati cui si appartenga; la riscoperta di una tradizione che oggi può essere declinata come innovazione, perché negli esempi artistici, teorici, giuridici, culturali tutti del nostro territorio c’è un quid che altrove manca e che gli altri qui vengono a studiare e a ricercare; la cooperazione in materia di solidarietà, sussidiarietà e libertà fondamentali; il dialogo interreligioso quale stella polare di un rapporto serio nella traduzione dei bisogni, delle aspettative, delle speranze e dei diritti di “immigrati” e “residenti”. LIME, si chiama quell’associazione. Laboratorio Interculturale Mediterraneo Est, vista la ricchezza di spunti che il nostro Ionio ha proiettato proprio in direzione orientale, venendovi a propria volta a contatto.

Siamo tuttavia anche spiritosi, uniti e consci che la retorica funerea della Calabria bruciata per sempre non ci appartiene. LIME, come il gustoso agrume che troviamo sul desco delle nostre pause e, perché no?, come gergalmente si definisce uno degli atti fondanti il contatto umano. Un bacio, qui, ai nostri saperi che mai rinunceremo a diffondere, trasmettere, a fare diventare produzione di redditi, infrastrutture materiali e immateriali, ricerche, viaggi. Partiremo così. Già giorno 25.