Cosenza anno zero
«Quell’angoscia che non ci lasciava mai era fatta di speranza: la speranza che finalmente avremmo vinto, alla quale ci obbligava l’amore, una speranza che da qualche parte nel corpo si toccava con la paura che non sarebbe successo, a cui ci costringeva sempre l’amore (…). Per affrontare la sconfitta ci vuole un amore incrollabile». In
«Quell’angoscia che non ci lasciava mai era fatta di speranza: la speranza che finalmente avremmo vinto, alla quale ci obbligava l’amore, una speranza che da qualche parte nel corpo si toccava con la paura che non sarebbe successo, a cui ci costringeva sempre l’amore (…). Per affrontare la sconfitta ci vuole un amore incrollabile». In questi giorni di ragionevoli precauzioni da #iostoacasa, prendetevi cinque minuti per raggiungere una libreria e comprare La gioia fa parecchio rumore di Sandro Bonvissuto. E poi, se amate il pallone, leggetelo tutto d’un fiato.
Dovessi recensirlo, senza svelare molto, potrei dire che è il più bel romanzo sul calcio mai scritto in Italia, a metà strada tra educazione sentimentale e romanzo familiare attorno alle vicende della Roma. Un libro che, ben oltre l’illustrazione di copertina, non celebra tanto gli anni giallorossi di Falcao, quanto il modo in cui un bambino sperimenta l’amore attraverso il tifo, e lo fa partendo proprio da una retrocessione a cui la Maggica scampò per un soffio, quasi casualmente, nel 1979 con Ferruccio Valcareggi in panchina. E da cui seppe costruire un ciclo di vittorie, fino alla Coppa dei Campioni persa col Liverpool.
Cosa c’entra tutto questo col Cosenza? Il campionato rossoblù, in questo momento, è davanti a un bivio e a una data, quella del 3 aprile. Da una parte c’è la possibile ripartenza dei campionati, dall’altra lo stop definitivo. Una decisione potrebbe arrivare il 23 marzo, ma è chiaro a tutti che la priorità del consiglio federale è trovare spazi e soluzioni soprattutto per la serie A – e tutto il resto seguirà a ruota.
Dubito che le società, in A e in B, siano disposte a riprendere le competizioni dopo un mese di stop agli allenamenti e con i giocatori in condizioni di forma tutte da verificare. E non credo (ma potrei sbagliarmi) che, al di là delle dichiarazioni di facciata, vogliano mettere in gioco scudetto, qualificazioni in Champions, retrocessioni e promozioni attraverso la giostra dei playoff.
I provvedimenti sul Coronavirus stanno creando una situazione drammatica e inedita. È difficile prevedere lo stato di avanzamento del Covid-19 da oggi al 23 marzo (cioè tra quasi due settimane), in Italia e in Europa; figuriamoci quanto possa esserlo la riprogrammazione del calendario calcistico. Per me, non so per voi, ma tutto è passato in secondo piano – lunedì sera, quella farsa andata in scena al Bentegodi non l’ho nemmeno vista.
Ma provando a parlare ugualmente di calcio, ad oggi, per la serie B si tratterebbe di tornare in campo il 5 aprile, due giorni dopo la fine prevista per ora dal decreto del governo Conte. Saranno sufficienti quarantott’ore agli atleti per allenarsi e tornare arruolabili? Io non credo. Come dubito che tra metà aprile e metà maggio sia possibile far disputare dieci turni di campionato (più il recupero tra Ascoli e Cremonese), e poi playoff e playout. Ammesso che tra un mese l’emergenza sia cessata.
In due parole, la mia sensazione è che in campo non si tornerà e che i campionati finiscono qui. E, quindi probabilmente, senza retrocessioni. È triste e mortificante pensarlo, ma è l’unico scenario nel quale riesco a immaginare il Cosenza ancora in serie B. Siccome tuttavia posso sbagliarmi, allora provo a chiedermi con voi cosa accadrebbe invece se si tornasse in campo.
La risposta è semplice: in questo caso, il Cosenza è già retrocesso. Ho esultato come tutti dopo la vittoria di Livorno, sperando che fosse l’inizio di una riscossa. La sconfitta col Frosinone, ma soprattutto la prestazione scialba di Venezia erano state un grosso campanello d’allarme – e lo avevo scritto. La pietra tombale sulle possibilità della squadra di lottare per la salvezza è arrivata nelle sconfitte senza nerbo contro Cittadella e Chievo. C’è poco da analizzare. Non è più questione di singoli o moduli: lo spogliatoio purtroppo sembra aver recepito l’esonero di Braglia come una resa anziché un disperato tentativo di rilancio. Nelle ultime cinque giornate, cioè dall’arrivo di Pillon, solo Pescara e Perugia (due formazioni in crisi) hanno fatto meno punti di noi. Dopo tre sconfitte e un pareggio, è chiaro che la vittoria al Picchi sia stata solo un fuoco di paglia e che Baffone la scossa non è riuscito a darla. È vero che la zona playout è sempre lontana 6 punti (in attesa del recupero della Cremonese), ma questa cosa più che alla speranza somiglia proprio a quell’agonia calcistica che avevo scritto di temere più di ogni cosa. Le squadre di calcio, prima che dai calciatori e dal loro talento, sono fatte dagli uomini e dalla loro personalità – e, in questo Cosenza, almeno nel girone di ritorno (4 punti in nove partite) uomini e personalità non ne abbiamo visti. I volti in campo di chi, incidentalmente, quest’anno veste questa maglia purtroppo parlano più chiaro degli stessi risultati.
Ci vuole un amore incrollabile per affrontare le sconfitte, scrive Bonvissuto, e quest’amore in questa stagione è stato tradito più volte. Su tutti, da quella società che in estate aveva dichiarato di voler “alzare l’asticella”. Se ci fosse un presidente al comando, con dieci partite ancora davanti, alla rosa sarebbero state imposte misure punitive serie. L’unica annunciata è stata invece quella contro D’Orazio e Bruccini, rei (per motivi familiari e personali) di non essersi aggregati alla trasferta di Verona. Tutt’ara mmersa, visto che, proprio mentre si giocava al Bentegodi, il premier Conte annunciava misure senza precedenti nella storia d’Italia.
In ogni caso, in B o in C, il presidente Guarascio farebbe cosa molto saggia a passare la mano e vendere la società. Non si è dimostrato adeguato nel cavalcare l’entusiasmo cresciuto attorno alla squadra, anche grazie ai risultati ottenuti durante la sua gestione – in questo, con tratti molto diversi, ha ricordato il Pagliuso degli anni Novanta, passato in pochi anni dalla clamorosa salvezza con Zaccheroni alla retrocessione di Padova.
Guarascio è stato del tutto incoerente rispetto ai suoi proclami. Molte sue esternazioni (dal Cosenza come hobby alla rivendicazione delle spese per i seggiolini, fino al puntiamo alla serie A pochi minuti prima che il Frosinone passeggiasse sul 2-0 al Marulla) non sono degne di un presidente di una squadra di calcio con cento anni di storia, di cui una ventina in serie B. È inutile chiedergli un’inversione di rotta: il talento è come il coraggio e, come diceva Manzoni, il coraggio uno non se lo può dare. Nel nome dei suoi interessi economici, trovi un acquirente serio e si accomodi definitivamente dalla parte del torto.
Perché 24 punti in 28 giornate sono un fallimento sportivo con pochi precedenti. E, nello sport, si possono accettare molte sconfitte, forse tutte. Tranne quelle che trasformano l’angoscia per un amore incrollabile in uno stadio deserto, con poco più di duemila spettatori sotto la pioggia in una gara decisiva, come accaduto contro il Cittadella. In B o in C, il 2020-21 per il Cosenza sarà ancora una volta l’anno zero. Purtroppo. O per fortuna.