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Ormai è una certezza: il telefonino di Lisa Gabriele non sarà rimesso in funzione. Dopo i precedenti buchi nell’acqua anche l’ultimo tentativo, operato mercoledì dagli specialisti del Racis di Roma, si è concluso con un nulla di fatto. Diciott’anni sono troppi e riaccendere quell’apparecchio modello Nokia 8310, ormai compromesso dal tempo e dal mancato utilizzo, è risultata fin da subito impresa proibitiva. Il risultato è che i dati contenuti al suo interno non confluiranno nel processo che vede l’ex poliziotto della Stradale di Cosenza, Maurizio Abate, imputato per l’omicidio volontario della ventiduenne di Rose risalente al gennaio del 2005.
Accertamenti falliti, dunque. Inutile si è rivelata anche la mossa della disperazione: cannibalizzare un cellulare dello stesso tipo messo a disposizione dalla parte civile. I carabinieri in camice, però, non hanno lasciato nulla di intentato. Hanno rimpiazzato la batteria, lo schermo, la tastiera, finanche la scocca in plastica. Niente da fare. Si sono concentrati poi sulla scheda elettronica, passando al microscopio induttanze, diodi, condensatori e resistenze, alla ricerca di eventuali cortocircuiti. Niente di niente. La scheda è stata anche surriscaldata, nella speranza di ravvivare lo stagno utilizzato per fissare i contatti elettrici, ma è stata l’ultima sortita investigativa. Dopodiché hanno alzato bandiera bianca.
Concluse le operazioni, il dottor Angelo La Marca, consulente tecnico degli avvocati di Abate, ha ribadito per conto degli avvocati Marco Facciolla e Francesco Muscatello, la «contrarietà all’accertamento odierno» da parte del team difensivo. Il processo in abbreviato riprenderà ora lunedì 13 marzo e una settimana dopo sarà già tempo di sentenza. Cosa c’era nel telefonino di Lisa Gabriele? Anche questo resterà un segreto. Uno dei tanti sepolti insieme a lei.