Il giudice esclude ogni intento coercitivo: le frasi erano sfogo emotivo, non minaccia. Accolte le tesi della difesa dell’avvocato Acciardi
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Era accusata di aver minacciato una dottoressa del Csm (Centro di Salute Mentale) di Cosenza per costringerla a somministrare una terapia farmacologica al marito, ma per il Tribunale il fatto non sussiste. Si è concluso così il processo abbreviato a carico di una 40enne, difesa dall’avvocato Francesco Acciardi, con una sentenza di assoluzione piena.
La vicenda risale al dicembre 2024, quando la donna si sarebbe recata negli uffici del Centro di salute mentale chiedendo che il coniuge – già dichiarato socialmente pericoloso – venisse sottoposto alla cura prescritta per inibire le sue condotte aggressive. Secondo la Procura di Cosenza, il tono e le frasi utilizzate dall’imputata integravano una minaccia idonea a incidere sull’attività della professionista.
Nel processo è stata acquisita la perizia psichiatrica sul marito, dalla quale è emersa la misura di sicurezza applicata e la prevista terapia farmacologica, poi non somministrata. La difesa ha sostenuto che la reazione della donna, seppur sopra le righe, non aveva avuto alcun effetto coercitivo e non aveva impedito alla dottoressa di svolgere le proprie funzioni.
Il giudice, condividendo tale ricostruzione, ha escluso che l'imputata avesse agito per imporre un atto contrario ai doveri d’ufficio. Si è trattato, secondo il Tribunale, di espressioni verbali pronunciate in un momento di esasperazione, prive di reale capacità costrittiva e non seguite da condotte violente. Da qui la decisione di assolverla “perché il fatto non sussiste”.

