Il quadro indiziario e cautelare dei cinesi dimoranti a Castrovillari e accusati di narcotraffico (o di aver favorito tale presunta attività illecita) non è mutuato. Il tribunale del Riesame ha confermato infatti l’ordinanza emessa dal gip di Castrovillari, Simone Falerno che, non trasferendo gli atti a Catanzaro, si è dichiarato competente a livello territoriale, così come prevede anche un orientamento della Corte Costituzionale, richiamato nelle motivazioni del Riesame di Catanzaro.

Nello specifico parliamo della posizione di Shi Yizhang. I giudici cautelari hanno valutato il ricorso della difesa nell’ambito del procedimento penale aperto dalla Dda di Catanzaro e condotto dalla Squadra Mobile della Questura di Cosenza che nei primi mesi del 2023 aveva iniziato a monitorare un opificio situato nella zona industriale di Castrovillari.

In questo capannone, ribattezzato come la “centrale della droga” di contrada “Serra delle Ciavole“, zona a due passi dal tribunale e dalla casa circondariale di Castrovillari, la polizia giudiziaria aveva rinvenuto al suo interno gli odierni indagati Tan Yinfan, Wei Wang e Yizhang Shi, nonché un impianto grandissimo di produzione di marijuana.

Gli agenti della polizia di Stato avevano trovato inoltre un ingente quantitativo di sostanza stupefacente, pari a circa 303 kg nonché circa 2877 piante ancora a dimora, per un peso stimato di 189 kg, oltre al materiale utile al ciclo della produzione. Il gip Falerno riteneva sussistenti il pericolo d fuga e la reiterazione del reato sia per la precaria condizione abitativa dei soggetti che per il contestuale coinvolgimento di due degli indagati in altra inchiesta per narcotraffico nonché alla presenza dello Shi presso uno dei punti nevralgici per l’associazione.

Secondo il Riesame, relativamente all’ipotizzata condotta di reato addebitata a Shi Yizhang – detenzione illecita di sostanza stupefacente – non si porrebbe alcun dubbio «quanto alla materialità del fatto di detenzione di narcotici destinati allo spaccio, avuto riguardo all’ingente dato quantitativo, alla contestuale presenza di strumenti atti alla produzione di marijuana su larga scala e, per quanto concerne la posizione dell’indagato, alla specifica mansione affidatagli di addetto alla cura della coltivazione illegale» si legge nelle motivazioni, quanto alla presunta inconsapevolezza «circa l’illiceità della propria condotta».

Il collegio giudicante ritiene infatti che «non sussistano le condizioni affinché l’errore sulla rilevanza penale della condotta possa dirsi inevitabile». Sul punto, il Riesame ha evidenziato che l’indagato si trovava in territorio italiano da mesi «per svolgere lavorativa» e quindi «non può omettersi di considerare, sotto il profilo soggettivo, che trattasi di soggetto proveniente da uno Stato extracomunitario, la Cina, dotato di legislazione estremamente intollerante verso contegni aventi ad oggetto gli stupefacenti e, tra questi, anche la marijuana».

Le esigenze cautelari

Il Riesame lascia uno spiraglio ai difensori. Ma precisa che il consistente quantitativo di narcotico e le modalità strutturate della detenzione rendano evidente «il collegamento dell’indagato con ambienti criminali organizzati nel narcotraffico. Circa la misura cautelare applicabile, si registra che l’indagato non ha indicato un domicilio idoneo e ciò ha reso impossibile applicare misure cautelari meno gravose di quella della custodia in carcere.

I difensori Vincenzo Guglielmo Belvedere e Kevin Esposito, si sono attivati per ricercare una struttura adeguata affinché possa venir accolta la richiesta di sostituzione della misura cautelare che verrà presentata in futuro. Intanto, gli avvocati hanno impugnato l’ordinanza del Riesame, presentanto ricorso in Cassazione. I cinesi indagati, in conclusione, sono Yizhang Shi, 47 anni, Yinfang Tan, 32 anni, Wei Wang, 36 anni, Shuanhjun Ye, 49 anni, e Yongfen Cheng, 52 anni.