Processo "Reset", avvocati "controllati" e ancora "Gaming": l'udienza a Lamezia Terme
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La nuova udienza del processo “Reset” è partita con l’istanza dell’avvocato Valerio Murgano, difensore dell’imputato Massimo D’Ambrosio. Il penalista di Catanzaro ha intenzione di chiedere al procuratore generale di Catanzaro Giuseppe Lucantonio quali sono le motivazioni che portano gli addetti alla sicurezza dell’aula bunker di Lamezia Terme a controllare più volte i difensori prima e dopo l’ingresso nella struttura dell’ex Fondazione Terina, come disposto per l’appunto dalla procura generale e dalla Corte d’Appello di Catanzaro. Una situazione definita «umiliante» dal penalista.
La seconda questione sollevata dall’avvocato Murgano è stata quella relativa alla richiesta invocata da Massimo D’Ambrosio di vedere, dopo oltre un anno e mezzo, la moglie Lauretta Mellone, imputata nel processo ordinario di “Reset“, gravemente malata. Una vicenda che la nostra testata ha già trattato in epoca precedente. Il tribunale collegiale di Cosenza non ha autorizzato l’imputato ad incontrare la compagna di una vita. L’istanza sarà reiterata.
Da segnalare, tra le altre cose, che il tribunale di Cosenza ha vietato a Radio Radicale di registrare le udienze del processo “Reset“. Radio Radicale, com’è noto, è una memoria storica che già in passato ha seguito processi antimafia come ‘Ndrangheta Stragista, Rinascita Scott e altri di tale o più importanti in vari tribunali italiani, con la pubblicazione delle udienze al termine dei procedimenti penali. “Reset“, tuttavia, rimarrà fuori dall’archivio digitale.
Nella precedente udienza processuale le difese avevano iniziato il controesame del finanziere Bruzzano, oggi ripreso dall’avvocato Matteo Cristiani, difensore dell’imputato Fabrizio Gioia, il quale non avrebbe avuto contatti telefonici con i Reda. Poi è stata la volta dell’avvocato Cesare Badolato, legale di Mario Gervasi, il quale aveva creato oltre 10 anni fa una società con Daniele Chiaradia cessata poi nel 2016. «Gervasi? Uscì allo scioglimento», ma il penalista ritiene che il suo assistito fosse fuori da tutto già nel 2013. Il teste ha poi risposto di non aver avuto segnalazioni sui rapporti tra l’imputato e Mario “Renato” Piromallo. Terzo controesame quello dell’avvocato Giorgio Misasi, co-difensore di Ariosto Artese. Focus in tal senso sui presunti contatti con Carlo Drago, riscontri diretti che non sono stati acquisiti nel corso delle indagini. Poi il teste ha parlato di una presunta concessione a cui sarebbe stato interessato Roberto Porcaro, relativamente al parcheggio situato nella zona del “Marconi“. Situazione che sarebbe emersa da un’intercettazione, dove si parlerebbe dell’area da controllare situata nel comune di Rende.
Discorso Artese affrontato anche dal penalista Luca Acciardi. Il finanziere ha spiegato di aver trattato nel caso in esame anche i presunti concorrenti esterni alla presunta confederazione mafiosa cosentina. “Le indagini su Artese cominciano da un’intercettazione ambientale nel quale sarebbe emersa la richiesta estorsiva. Richiesta avanzata da Gennaro Presta in rappresentanza degli “zingari” nei confronti di una società gestita dal figlio di Ariosto Artese. Nella prima fase era indicato quale vittima della richiesta estorsiva, nella seconda parte è stato invece inquadrato come concorrente esterno visto l’interessamento di Roberto Porcaro».
L’avvocato Acciardi ha chiesto quali sono stati gli elementi che hanno cambiato il quadro indiziario: «Sicuramente le intercettazioni captate tra Carlo Drago e Roberto Porcaro e le dichiarazioni dei pentiti, l’ultima in ordine di tempo al tempo delle investigazioni risalente al 2005». Dati esterni però non ce ne sono, come ha evidenziato il penalista Acciardi. «Fino all’intercettazione Porcaro e Artese non si erano mai presentati, visto che il primo si presentò all’imprenditore». Porcaro inoltre avrebbe mostrato segnali di sofferenza verso Artese che non avrebbe fatto le mosse giuste per ottenere la concessione del parcheggio di cui si è parlato prima. E ancora: «Fu comunque Carlo Drago a chiedere l’intervento di Porcaro in favore di Artese, ma l’imprenditore non interessò” l’allora “reggente” del clan degli italiani.
Le attività della Finanza però non hanno riguardato la parte in cui Artese avrebbe potuto concretamente interessarsi alla vicenda del parcheggio, visto che le Fiamme Gialle non hanno sentito il titolare dell’area, un noto costruttore edile cosentino. Area tra l’altro conosciuta da tutti gli abitanti dell’hinterland in considerazione del fatto che viene utilizzata come parcheggio per accedere al Mc Donald’s. Artese in conclusione «non è mai stato condannato per alcun reato». Il Gico del Finanza ha inoltre appurato che non c’è stata nessuna sperequazione sui redditi familiari di Artese e degli altri stretti congiunti.
Sempre l’avvocato Acciardi ha chiesto delucidazioni sul capitolo del “Gaming“. La Dda di Catanzaro ipotizza che fosse controllato dalla ‘ndrangheta. “Non sono a conoscenza se Patitucci parlasse del “Gaming“, né di altri presunti capi dell’associazione, tranne Roberto Porcaro, in cui affronta l’argomento visto l’attività di Carlo Drago“. L’apporto dichiarativo di Angelo Colosso e Luciano Impieri sarebbe stato decisivo, secondo la Dda, per formulare le accuse contro una parte degli imputati. «Impieri ha fatto riferimento nello specifico a Maurizio Rango».
Infine, il tema di Silvio Gioia, collaboratore di giustizia: «Non è mai stato imputato per associazione mafiosa né ha commesso reati nell’ambito di tali gruppi, ma ha dichiarato di essere a conoscenza dei fatti rispetto ai rapporti personali con gli altri imputati» ha detto il teste nel controesame. «Tra Daniele Chiaradia e Mario Renato Piromallo dal 2010 ad oggi non ci sono mai stati contatti telefonici».
L’avvocato Pasquale Naccarato ha posto l’attenzione sul poliziotto Silvio Orlando, imputato nel capitolo del “Gaming“. Il teste ha evidenziato che non ci sono state intercettazioni tra l’ufficiale di polizia giudiziario e i presunti capi dell’associazione né sono stati documentati incontri con gli appartenenti alla criminalità organizzata. Il legale Naccarato ha fatto notare anche con un’informativa di 500 pagine il finanziere Bruzzano aveva concluso che non vi fossero elementi per ritenere sussistente l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Nessun elemento infine per sostenere che le macchinette del gioco d’azzardo fossero state alterate. Sui conti correnti di Silvio Orlando non sono stati fatti accertamenti, ma quelli sono stati effettuati solo dal punto di vista reddituale.
La posizione di Cristian Vozza è stata “attenzionata” dall’avvocato Mariarosa Bugliari. «In questo caso abbiamo fatto un’attività intercettiva diretta». Il legale ha poi. L’avvocato Filippo Cinnante ha poi chiesto se Vozza avesse avuto rapporti con Silvio Gioia. «No» ha detto Bruzzano, stessa risposta anche in relazione ai contatti con Giuseppe Zaffonte. «Celestino Bevilacqua è il suocero di Vozza, ma lo stesso era detenuto dal 2014 ad oggi per l’operazione “Nuova Famiglia“». Il suocero dell’imputato è stato implicato e condannato in via definitiva per il duplice omicidio “Chiodo-Tucci“. Rimane il dato tuttavia che Vozza non ha avuto rapporti diretti con esponenti della ‘ndrangheta cosentina, sul “Gaming” invece ha avuto contatti, relativamente ad alcuni interventi, con Daniele Chiaradia. La presunta truffa, in relazione al corretto funzionamento delle macchinette, sarebbe stata posta in danno dell’imputato Vozza.
Si è passati in seguito alla posizione di Fabrizio Abate che non ha avuto contatti con soggetti della criminalità organizzata se non nei casi citati dal teste con Carlo Drago. «Abate si occupava della gestione tecnica delle apparecchiature e nel ritiro delle stesse», ovvero quelle sottoposte all’attenzione degli inquirenti nel capitolo del “Gaming“. E ancora. Il controesame è proseguito con l’avvocato Andrea Sarro, difensore di Simone Greco, il quale non ha avuto contatti o rapporti con i collaboratori di giustizia. Il teste ha ricordato anche che nella sua informativa non ha ritenuto che Greco fosse coinvolto nella presunta associazione. Risposta data sempre su domanda del difensore Sarro. Poi la posizione di Damiano Carelli, difeso dall’avvocato Aldo Zagarese. Carelli viene ritenuto dalla Dda come uno dei presunti capi dell’associazione del “Gaming“, ma la Cassazione e il Riesame ha escluso la gravità indiziaria. Il pentito Nicola Femia «non parla di Damiano Carelli». Le domande del difensore hanno interessato anche le interlocuzioni con Morabito nonché quelli con Policastri.
L’avvocato Enzo Belvedere, co-difensore di Damiano Carelli, ha incentrato il suo intervento sul fatto che i Monopoli di Stato avevano concesso a Carelli solo il 7% delle apparecchiature sul territorio cosentino e non il 50% delle macchinette sullo Jonio cosentino, come ha dichiarato il teste Bruzzano, al quale è stato contestato pure il contenuto del capo d’imputazione. «Era un’attività abusiva? C’è una fase amministrativa da rispettare ma per Carelli non abbiamo avuto segnalazioni illecite riguardo queste prescrizioni». Con Pierangelo Aloia, altro imputato di “Reset“, c’erano «rapporti di natura contrattuale e ne derivano provvigioni spettanti dal fatto che Aloia era iscritto all’apposito albo».
Il gruppo Carelli è emerso che per lavorare in altre regioni italiane non doveva chiedere il “permesso” alle altre imprese operanti in provincia di Cosenza e che nel territorio di Corigliano Rossano un gruppo cosentino aveva installato più macchinette della società di Carelli. Qui l’avvocato Belvedere si è inalberato contestando la “banca dati” riportata dal finanziere che sarebbe in netta contrapposizione con quella richiamata dal penalista cosentino. Nel merito: 50% contro 7%. Due numeri diametralmente opposti. Atro dato rilevato dalla difesa è che negli ultimi anni il volume di affari di Damiano Carelli era di 60 milioni di euro con un guadagno lecito di circa 5 milioni di euro all’anno.
Controesame anche dell’avvocato Giulio Tarsitano in difesa di Aloia, il quale nelle intercettazioni faceva riferimento alla “gallina dalle uova d’oro“, ma non in termini illeciti bensì identificando una macchinetta dedicata a un gioco specifico. Domande anche da parte dell’avvocato Angela D’Elia, legale di Francesco Papara, il quale è stato intercettato solo con Francesco Reda e non con altri imputati del processo “Reset“. Circa la presunta sperequazione il legale ha introdotto il dato secondo cui il suo assistito nel periodo di riferimento aveva ricevuto la somma di un Tfr, escludendo comunque che lo stesso fosse in contatto con soggetti legati alla criminalità organizzata.
Successivamente, il controesame dell’avvocato Francesco Febbraio, difensore di Bruno Mollica, zio di Francesco Morabito, coinvolti nel “Gaming“. «Era in possesso di tutti i requisiti per operare nel settore» ha aggiunto il finanziere Bruzzano. «Nicola Femia non ha parlato né di Mollica né di Morabito». Entrambi non avevano contatti con esponenti della ‘ndrangheta reggina e neanche con quella individuata nel Cosentino. In conclusione il controesame dell’avvocato Angela Caputo, difensore di Ines Reda, e dell’avvocato Gaetano Maria Bernaudo, legale di Giovanni Drago, sul quale non ci sono riscontri rispetto a un’intercettazione intercorsa tra il padre Carlo e un altro soggetto presunta vittima di un’estorsione. «Ci sono elementi sul fatto che il mio assistito fosse a conoscenza della telefonata?» ha chiesto il difensore. «No» ha replicato l’ufficiale di polizia giudiziaria. Non risultano incontri tra Giovanni Drago e altri soggetti della ‘ndrangheta, non avendo partecipato neanche a presunti summit di mafia. «Era stipendiato in quanto dipendente di una società che aveva il servizio mensa all’Unical» ha specificato il finanziere.
La prima parte dell’udienza si è conclusa con il controesame dell’avvocato Antonio Quintieri, difensore di Remo Prete, dipendente di un bar, su cui non sono stati fatti accertamenti bancari. Non è stato approfondito inoltre se Prete fosse un giocatore dilettantistico e se nel periodo estivo organizzasse tornei di calcetto. Prete non ha avuto contatti con soggetti di interesse operativo né di tipo ‘ndranghetistico e non è mai stato menzionato dai pentiti. Alla fine le dichiarazioni spontanee di Antonio Covelli, imputato nel “Gaming“: «Avevamo accesso solo alle Vlt e non alle macchinette della Top Games». Nel controesame dell’avvocato Belvedere erano venuti fuori i rapporti di cointeressenza di natura economica con Chiaradia essendo socio al 50% della Top Club srl.
Il pubblico ministero Corrado Cubellotti, nel riesame, ha chiesto al finanziere di approfondire le intercettazioni riguardanti di Damiano Carelli e Mario Gervasi, la data d’iscrizione come parte offesa di Ariosto Artese («vittima di estorsione nel 2018» ha detto il teste), diventato poi presunto concorrente esterno della confederazione nel 2019, le posizioni di Silvio Orlando relativamente ai contatti con Cristian Vozza, di Simone Greco e di Giovanni Drago. Giovedì prossimo saranno sentiti altri ufficiali di polizia giudiziaria.
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