Accolti i ricorsi di Antonio Abruzzese e Giovanni Drago (per quest’ultimo solo sulla confisca), rigettate le altre impugnazioni di Alushi, Attento e Marotta
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
La Cassazione ha pronunciato la sentenza sull’inchiesta “Testa di Serpente”, l’operazione antimafia della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro (rappresentata nel procedimento penale dai pm Vito Valerio e Corrado Cubellotti) che ha colpito i gruppi criminali riconducibili agli Abbruzzese “Banana” e al clan degli “Italiani” di Cosenza, all’epoca guidato da Roberto Porcaro. Con la decisione depositata dopo l’udienza del 28 novembre 2025, la seconda sezione penale ha annullato con rinvio la sentenza d’appello limitatamente ad alcune posizioni, rigettando invece la maggior parte dei ricorsi presentati dagli imputati.
La Suprema Corte ha accolto integralmente il ricorso di Antonio Abruzzese (difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Filippo Cinnante), rilevando una nullità insanabile della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro per totale assenza di motivazione sulla sua posizione. I giudici di legittimità hanno evidenziato che il nome dell’imputato compariva esclusivamente nell’intestazione e nel dispositivo, senza alcun riferimento nella parte motiva. Una carenza ritenuta violativa degli articoli 125 e 546 del codice di procedura penale e del diritto di difesa. Per questa ragione, la Cassazione ha disposto l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro per un nuovo giudizio nel pieno contraddittorio delle parti.
Diversa la valutazione sulla posizione di Giovanni Drago (difeso dagli avvocati Filippo Cinnante e Gaetano Maria Bernaudo). Il suo ricorso è stato accolto solo in relazione alla confisca disposta per il reato di usura. La Corte ha ribadito il principio secondo cui, in caso di concorso di persone nel reato, la confisca per equivalente non può essere applicata in modo solidale, ma deve essere commisurata al profitto effettivamente conseguito da ciascun concorrente. Sul punto, i giudici hanno annullato la sentenza limitatamente alla confisca, rinviando alla Corte d’appello per una nuova valutazione. Per il resto, la responsabilità penale di Drago è stata confermata ed è divenuta irrevocabile.
Sono stati invece rigettati i ricorsi di Claudio Alushi (7 anni e 8 mesi), Adamo Attento (6 anni e 2 mesi) e Antonio Marotta (9 anni e 6 mesi), con conseguente condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali. La Cassazione ha ritenuto infondate o inammissibili tutte le censure sollevate dalle difese, confermando l’impianto accusatorio e le motivazioni delle sentenze di merito.
In particolare, per Claudio Alushi, la Suprema Corte ha escluso qualsiasi vizio nella valutazione dell’aggravante mafiosa, sia sotto il profilo del metodo intimidatorio sia sotto quello della finalità di agevolazione del clan degli “zingari” di Cosenza, storicamente accertato nel distretto giudiziario cosentino. I giudici hanno chiarito che non è necessaria la dimostrazione di una “confederazione” formalizzata tra i gruppi criminali, essendo sufficiente la consapevolezza e la volontà di agevolare un sodalizio mafioso esistente.
Per Adamo Attento, la Cassazione ha confermato la condanna per estorsione aggravata, ritenendo pienamente attendibile il racconto della persona offesa e coerente la ricostruzione del suo ruolo di intermediario per conto degli Abbruzzese “Banana”. È stata esclusa qualsiasi finalità di mediazione “bonaria”, evidenziando come l’imputato avesse agito nell’interesse della cosca, partecipando attivamente alla riscossione delle somme e rafforzando l’azione intimidatoria.
Rigettato anche il ricorso di Antonio Marotta. La Corte ha ritenuto legittima la valutazione probatoria operata dai giudici di merito, fondata su una pluralità di elementi convergenti, tra cui le dichiarazioni delle persone offese e altri riscontri istruttori. È stata inoltre esclusa la possibilità di derubricare i fatti nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni o nel tentativo di estorsione, in considerazione della finalità estorsiva autonoma perseguita dal gruppo criminale e del contesto mafioso in cui le condotte si sono sviluppate.

