Tra Rose e San Pietro in Guarano la riscoperta dell’impianto di produzione di energia idroelettrica costruito dai contadini sotto la guida di don Carlo De Cardona agli inizi del novecento. Una storia di emancipazione sociale intrecciata al rilancio del patrimonio ambientale e naturalistico di questi luoghi
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Addentrarsi nella fitta vegetazione non è agevole, ma vale la pena inerpicarsi lungo questi sentieri poco battuti, per arrivare ad incrociare il placido scorrere dell’Arente nel punto in cui l’affluente del Crati separa i versanti collinari dei territori di Rose e San Pietro in Guarano. È in questi luoghi, oggi di un verde lussureggiante, un tempo imbionditi dal grano, che tra il 1904 ed il 1907 si realizzò la straordinaria impresa della costruzione di una centrale idroelettrica che portò la corrente nei circostanti territori della Presila.
Opera di emancipazione sociale
Ma sarebbe riduttivo ricondurre l’opera ad un semplice progetto di innovazione tecnologica. Fu in realtà una sfida di progresso e di emancipazione sociale coordinata da don Carlo De Cardona, il sacerdote originario di Morano Calabro noto per il suo impegno a sostegno dei contadini e dei lavoratori. Nel settembre 1904 giunse a San Pietro insieme all’allora vescovo, monsignor Camillo Sorgente, per prendere parte alla cerimonia di imposizione del sacramento della cresima, e rimase per tre giorni in paese durante i quali si imbatté in Vincenzo Settino, un quarantenne con alle spalle la tragedia di essere rimasto presto vedovo e di avere perso prematuramente due figli di 4 e 6 anni in seguito ad una delle tante epidemie che flagellavano in quel periodo le aree rurali. Cosa si siano detti non lo sapremo mai. Da quel momento però deflagrò una coraggiosa battaglia civile per la costituzione, pochi giorni più tardi, della Lega del Lavoro e successivamente della Cassa Rurale che diede appunto l’impulso alla costruzione della centrale idroelettrica.
Liberi da ricatti e schiavitù
Ma non solo: «A San Pietro costruirono anche il mulino alimentato dalla centrale stessa» racconta oggi il nipote di Vincenzo Settino, che porta orgogliosamente lo stesso nome del nonno e che di San Pietro in Guarano è stato anche primo cittadino. «I contadini poterono così liberarsi dal monopolio di chi era proprietario dei cinque mulini fino a quel momento operanti nella zona. Con la struttura inaugurata dalla Lega dei contadini, si poteva finalmente accedere a condizioni eque e non essere più soggetti a ricatti». La vicenda è narrata, tra l’altro, nei volumi sulla vita di don Carlo De Cardona pubblicati dall’editore Demetrio Guzzardi, promotore del centro studi Universitas Vivariensis che celebrerà il 17 novembre prossimo il De Cardona Day nell’anniversario dell’accensione della centrale inaugurata appunto il 17 novembre 1907.
Da Leone XIII a Papa Prevost
«Così i contadini di San Pietro in Guarano – ha detto Guzzardi al nostro network – uscirono dal medioevo liberandosi dai soprusi dei signorotti locali. Erano uomini che non avevano frequentato le scuole, ma illuminati da una grande fede che aveva le sue radici nella Rerum Novarum, l’enciclica prolungata da Papa Leone XIII, e nella dottrina sociale di don Carlo che rivoluzionò la prospettiva degli individui, indicando loro la strada della libertà e della democrazia. Quei contadini di San Pietro in Guarano ci hanno insegnato, richiamando un celebre passo del Vangelo, cosa vuol dire smuovere le montagne e cambiare il proprio futuro. C’è una linea che congiunge la strada imboccata da Leone XIII con quella di Papa Prevost – ha sottolineato Guzzardi – Credo che il pontefice statunitense abbia scelto il medesimo nome del suo illustre predecessore di fine ottocento poiché ritenga necessaria una nuova Rerum Novarum modellata sulle sfide della contemporaneità, della tecnologia, dell’intelligenza artificiale, che rischiano di inficiare la centralità dell’uomo. E invece la Chiesa non può non guardare agli ultimi, non può non guardare a chi rimane indietro. Il cristianesimo è soprattutto questo».
Trekking e turismo lento
La centrale idroelettrica, ora dismessa, è attualmente accessibile solo agli escursionisti più esperti. Il comune di Rose però, intende recuperare la struttura e renderla parte di un percorso destinato al turismo lento, ricco di vegetazione. Peraltro l’area è inserita in un progetto del Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Università della Calabria, per lo studio della fauna selvatica, osservata anche attraverso le immagini catturate da alcune foto trappole installate nella zona per cogliere, anche di notte, il transito di animali molto elusivi come la puzzola o il gatto selvatico. Verificata anche la presenza della lontra che nelle acque dell’Arente ha trovato anche l’ambiente giusto per riprodursi.
La croce tutta d’un pezzo
Sulla sommità della centrale elettrica di Rose, da più di cento anni è ancora saldamente piantata una croce dal notevole significato: «Per come direttamente mi raccontava mio padre – ricorda Vincenzo Settino – mio nonno, insieme a Pasquale Zaccara, Beniamino Pugliese e Francesco Patitucci, il gruppo di amici che costituiva il punto di riferimento di don Carlo De Cardona a San Pietro in Guarano, la croce era più che un simbolo: era il radicamento materiale, fisico, di quella fede che aveva consentito di superare inimmaginabili difficoltà per realizzare quest'opera. La croce venne fusa in un’unica colata di metallo perché, come la fede, non doveva avere nessun tipo di frattura, di debolezza. Una croce tutta d’un pezzo, senza saldature. Forte, austera, ma nello stesso tempo umile, collocata nel punto più alto della condotta a governare anche la natura circostante».

