«Da Pino Tursi Prato nessun favore alla ‘ndrangheta»
Il tribunale del Riesame di Salerno inquadra perfettamente l’inchiesta “Genesi” della Dda di Salerno. Il presidente Elisabetta Boccassini spiega le ragioni per le quali non sussiste l’aggravante mafiosa contestata a Pino Tursi Prato. La posizione dell’ex consigliere regionale, oggi ai domiciliari, da un punto di vista dei gravi indizi di colpevolezza è solida per due
Il tribunale del Riesame di Salerno inquadra perfettamente l’inchiesta “Genesi” della Dda di Salerno. Il presidente Elisabetta Boccassini spiega le ragioni per le quali non sussiste l’aggravante mafiosa contestata a Pino Tursi Prato. La posizione dell’ex consigliere regionale, oggi ai domiciliari, da un punto di vista dei gravi indizi di colpevolezza è solida per due capi d’accusa, ad esclusione del terzo (LEGGI QUI L’APPROFONDIMENTO), ma l’articolo 416 bis.1 (ex articolo 7) crolla in tutta l’inchiesta.
Dalle indagini della Guardia di Finanza di Crotone non sarebbe mai emersa la consapevolezza di Pino Tursi Prato di voler favorire un’associazione mafiosa, bensì quella di perseguire obiettivi personali, affinché Marco Petrini incidesse sull’ordinanza che la Corte d’Appello di Catanzaro doveva (e deve ancora) emettere per il ricorso presentato dal suo avvocato, Stefano Giordano del foro di Palermo.
La posizione processuale di Pino Tursi Prato
L’esclusione dell’agevolazione mafiosa è uno dei punti difensivi avanzati dagli avvocati Franz Caruso, Michele Filippelli e Cataldo Intrieri. Il collegio difensivo, che rappresenta nel procedimento penale Pino Tursi Prato, ha dimostrato che l’indagato non ha agevolato la ‘ndrangheta nelle condotte contestate dalla procura antimafia di Salerno. E il Riesame ha recepito il messaggio. A Pino Tursi Prato, in parole povere, interessava un parere favorevole sul cosiddetto “caso Contrada” per ottenere l’annullamento della condanna per concorso esterno in associazione mafiosa e richiedere successivamente il vitalizio quale ex consigliere regionale. (LEGGI QUI L’APPROFONDIMENTO).
Per arrivare a ciò era disposto a tutto, anche ad interessarsi di cose che non lo riguardavano in prima persona, affinché Petrini fosse accontentato in vari modi. Qui infatti non si contesta se Marco Petrini, Emilio Santoro e Pino Tursi Prato abbiano commesso un reato, anzi. E’ fondamentale, però, riqualificare lo stesso rispetto all’accusa iniziale. Per la procura di Salerno, il gip Giovanna Pacifico e il Riesame di Salerno rimane la corruzione in atti giudiziari, ma la difesa porterà avanti il ragionamento secondo cui Marco Petrini non avrebbe mai potuto condizionare l’operato dei suoi colleghi, millantando soltanto di averlo fatto (LEGGI QUI).
Si tratta, quindi, di verificare se si tratti di istigazione alla corruzione o traffico di influenze illecite. Un aspetto giuridico, tuttavia, che sarà chiarito dalla Cassazione, qualora Pino Tursi Prato decidesse di fare ricorso, oppure nel corso del dibattimento, sempre che avvocati e imputato non scelgano il rito abbreviato.
L’insussistenza dell’agevolazione mafiosa
Nel dettaglio, il presidente del Tdl di Salerno Elisabetta Boccassini scrive che «va esclusa la sussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, dal momento che detta aggravante, come chiarito dalla Corte di Cassazione e qui condiviso, ha natura soggettiva e richiede la sussistenza del dolo specifico di agevolare l’organizzazione criminale di riferimento, finalità che non presuppone necessariamente l’intento del consolidamento o rafforzamento del sodalizio criminoso, essendo sufficiente l’agevolazione di qualsiasi attività esterna all’associazione, anche se non coinvolgente la conversazione ed il perseguimento delle finalità utile tipizzate dall’art. 416 bis c. p.».
Dagli accertamenti investigativi della Guardia di Finanza di Crotone «emerge chiaramente che ciascun protagonista della vicenda agiva per un fine personale, quale quello di ottenere provvedimenti a se favorevoli, pur nella consapevolezza di partecipare ed avvantaggiare, nel contempo, anche gli interessi dei correi portatori a loro volta di interessi personali, caratteristiche queste, riscontrabili anche in capo a Francesco Saraco, il quale agiva nell’interesse personale del genitore, Antonio Saraco, o in capo ai Gallelli, che peroravano la causa del figlio» si legge nel provvedimento del Tdl di Salerno.
Finanziatori e faccendieri per avvicinare i giudici
«Nessuno dei suddetti indagati è risultato interessato ad agevolare il sodalizio criminoso in qualunque modo possibile, né ad esso si è fatto in qualche modo riferimento negli atti di indagine. Del resto, Saraco è stato ritenuto estraneo alla ‘ndrangheta denominata Locale di Guardavalle, anzi piuttosto in conflitto con la stessa, per come si legge nella sentenza in atti, mentre Gallelli, pur appartenendovi, non rivestiva nella stessa un ruolo dirigenziale e all’epoca dei fatti anche detenuto, onde non si comprende come l’attenuazione di pena richiesta per lui potesse, sia pure indirettamente, avvantaggiare la detta associazione».
In definitiva, il Riesame di Salerno ritiene che Pino Tursi Prato fosse inserito in un contesto di finanziatori e faccendieri, che volevano approfittare delle funzioni giudiziarie di Marco Petrini. Una tendenza, quella dell’ex consigliere regionale, che spesso lo portava a «possibili ed eventuali “raccomandazioni» da chiedere ai giudici.