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Duplice omicidio di Cassano, tutti gli indizi che portano ad Adduci

L'allevatore di 56 anni sostiene di essere estraneo al massacro del 4 aprile 2022, ecco perché la Dda ritiene che invece ci sia dentro fino al collo

Duplice omicidio di Cassano, tutti gli indizi che portano ad Adduci

Residuano pochi dubbi sul fatto che il 4 aprile del 2022, Maurizio Scorza e la sua compagna Hanene Hedli detta Elena siano stati uccisi nel fondo agricolo di Francesco Adduci, a Cassano. E che da lì i sicari abbiano poi cercato di spostare i corpi altrove per confondere le tracce. Nessun dubbio, certo, ma il tema dell’inchiesta è un altro, ovvero: Adduci stesso ha partecipato o no a quel duplice omicidio? Quando telefona a Scorza convocandolo nella sua masseria per consegnargli un agnello pasquale, è consapevole di attirarlo in una trappola mortale?

Non vedo e non sento

Nel chiedere il suo arresto, lo scorso 3 ottobre, gli investigatori hanno messo nero su bianco le ragioni per cui, secondo loro, in questa vicenda il trattorista allevatore di 56 anni c’è dentro fino al collo. La sua linea di difesa è nota: ha dato l’agnello a Scorza e poi si è disinteressato di lui, dedicandosi alla mungitura delle vacche. Il rumore dei macchinari, sostiene, potrebbe aver coperto il fragore dei proiettili – ben quattordici – esplosi successivamente contro i due bersagli da altri a lui sconosciuti.

La colpa di essere vivo

Al riguardo, l’obiezione che muove la Dda è lineare: come facevano gli assassini a sapere che Scorza si sarebbe recato nella masseria? L’unica alternativa possibile è che lo abbiano seguito fin lì, ma in quel caso «non avrebbero lasciato in vita uno scomodo testimone» sottolineano i magistrati firmatari della richiesta di misura cautelare. A loro avviso, la logica impone che un Adduci realmente estraneo all’agguato avrebbe dovuto fare la stessa fine di Maurizio ed Elena, e proprio «l’insolita clemenza» mostrata nei suoi confronti dimostra, dunque, che è «persona pienamente coinvolta nel piano omicidiario».

Telecamere spente e sospetti

C’è poi il discorso relativo alle telecamere di sorveglianza, che in questa storia hanno giocato già un ruolo di primo piano. La tenuta di Adduci ne è piena, una per ogni ambiente. Secondo il proprietario però sono lì solo da «deterrente per eventuali ladri» e non sono mai entrate in funzione. Al riguardo, però, sembrano smentirlo alcune circostanze: la presenza di un monitor di ultima generazione, oltre a uno più datato, e soprattutto una foto. Gli inquirenti l’hanno estrapolata dal telefonino del 56enne dopo averlo infettato con un trojan. È uno scatto che risale a febbraio 2022, due mesi prima del fattaccio, e immortala il nuovo schermo in funzione con tutte le telecamere attivate. Va da sé, insomma, il sospetto è che l’impianto di sorveglianza sia stato spento dal proprietario proprio quel 4 aprile, in occasione del massacro.

Le regole della Dda

L’ultimo focus investigativo riguarda la personalità dell’indagato, «abitudinaria e riservata», rispetto alla quale la Dda enfatizza i pochi elementi a sua disposizione. Il fatto che Adduci abbia sempre vissuto nel comprensorio cassanese, implica che «non può non aver assorbito il codice comportamentale che caratterizza i territori, come quello in esame, ad alto indice di criminalità organizzata». Si danno per certi poi i suoi «collegamenti con appartenenti alle locali famiglie di ‘ndrangheta», ma a ben vedere tali “certezze” poggiano su due indizi: un controllo a un posto di blocco, risalente nel 2011, durante il quale lo fermano in compagnia del suocero di un affiliato a clan dei nomadi, e poi i redditi percepiti in tempi più recenti – tra il 2020 e il 2021 – da una ditta agricola di proprietà del fidanzato di una Forastefano.

La mafia senza nome

Se è certo che Scorza e la Hedli siano morti quantomeno sotto al suo naso, è altrettanto sicuro che dietro l’agguato si celi l’ombra del crimine organizzato. Sul punto, l’ufficio di Nicola Gratteri non avanza accuse precise, limitandosi a osservare come «l’assenza di una cosca compiutamente descritta nella sua struttura quale autrice del grave fatto di sangue non è d’ostacolo alla configurabilità dell’aggravante». In pratica, la mafia c’è, ma per il momento non ha un nome. E anche per questo fa ancora più paura.

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