Processo Reset, a Cosenza vige la "legge" di Roberto Porcaro
Processo Reset, a Cosenza vige la "legge" di Roberto Porcaro
Processo Reset, a Cosenza vige la "legge" di Roberto Porcaro
Processo Reset, a Cosenza vige la "legge" di Roberto Porcaro
Processo Reset, a Cosenza vige la "legge" di Roberto Porcaro
Processo Reset, a Cosenza vige la "legge" di Roberto Porcaro
Processo Reset, a Cosenza vige la "legge" di Roberto Porcaro
Processo Reset, a Cosenza vige la "legge" di Roberto Porcaro
Processo Reset, a Cosenza vige la "legge" di Roberto Porcaro
Processo Reset, a Cosenza vige la "legge" di Roberto Porcaro
La prima udienza del 2025 del processo ordinario “Reset” si è svolta ieri mattina presso l’aula bunker di Castrovillari, come sempre in condizioni climatiche difficili a causa del mancato funzionamento dell’impianto di riscaldamento. L’udienza ha segnato la ripresa del procedimento dopo la sentenza di primo grado del rito abbreviato, pronunciata dallo stesso tribunale, con il presidente Fabiana Giacchetti.
Nel corso dell’udienza, è emersa nuovamente la figura centrale di Roberto Porcaro, ex “reggente” del clan degli italiani di Cosenza, implicato in molteplici attività criminali, tra cui traffico di droga, estorsione e usura. Le testimonianze delle persone offese hanno aggiunto ulteriori dettagli sulle dinamiche e sui rapporti all’interno della rete criminale.
La prima persona offesa sentita ha riferito su Roberto Porcaro, Alessio De Cicco e Francesco Patitucci. Il verbale è stato acquisito, ma la difesa, rappresentata dall’avvocato Cristian Cristiano, ha posto alcune domande: «Non ho mai chiesto ad Alessio De Cicco di prestarmi somme di denaro né ha mai portato soldi a Porcaro o Patitucci. Avevo un debito con Roberto Porcaro e dopo l’arresto di quest’ultimo nella faccenda è subentrato Patitucci», come lo stesso boss di Cosenza ha spiegato nelle dichiarazioni spontanee rese il 7 ottobre nell’aula bunker di Catanzaro. «Conoscevo Patitucci solo di vista ma ero a conoscenza dei suoi precedenti. Mi sollecitò a restituire il debito contratto con Porcaro. Un giorno lo incontrai per strada e mi invitò a casa sua. Non ho mai discusso di questa vicenda con De Cicco».
La medesima persona offesa ha anche smentito, su domanda dell’avvocato Maurizio Nucci, di aver mai comprato droga da Andrea Carpino: «Da lui ho acquistato solo beni strumentali come una lavastoviglie». Una quarta testimonianza ha riguardato il datore di lavoro di Remo Prete: «È un nostro dipendente e si tratta di una persona sportiva. Sia Giovanni Drago che Carlo Drago erano nostri clienti, nulla più», ha risposto all’avvocato Natale Occhiuto.
Inoltre, è emersa ancora una volta la storia di una mamma che fu costretta a pagare i debiti contratti dal figlio. «Sono stata contattata per saldare la somma. Massimo Benvenuto si è presentato come amico, mettendomi in contatto con tale Francesco. Non ho dato soldi a Benvenuto, Francesco Greco mi prestò circa 2mila euro, che ho restituito. Greco mi fece paura solo una volta. Questa situazione mi ha molto provata, sia fisicamente che emotivamente, al punto che mi sono ammalata».
Rapida ed esaustiva la successiva testimonianza, dove ha ristoratrice cosentina ha dichiarato di non aver mai ricevuto minacce in vita sua né di aver trovato bottigliette incendiarie davanti all’ingresso del suo locale. A seguire un giovane imprenditore cosentino che ha negato di aver avuto debiti personali con Guzzo e Mondera, con i quali aveva solo rapporti di amicizia e/o lavorativi.
Infine, le ultime due testimonianze di persone offese presenti nella lista testi della pubblica accusa sentiti dal pm Vito Valerio: «Chiesi ad Alberto Turboli un aiuto economico, consegnandogli “a garanzia” un’auto, ricevetti in cambio circa 4mila euro. Non ho subito minacce, ma non mi sentivo tranquillo. Dopo il suo arresto nel 2019, ci siamo incontrati solo una volta, quando mi chiese la restituzione della cifra. Quanto ho restituito? Intorno a 3mila euro».
La testimonianza più significativa è stata senza dubbio quella di Valentino De Francesco, sentito in qualità di testimone ma anche imputato del seguente procedimento penale. «Conosco Andrea Mazzei perché mi aiutò con una pratica ad aprire un’attività di catering. Con Porcaro ho avuto problemi, poiché pretendeva il pagamento di somme di denaro che in realtà erano legate a un debito che Mario Sirangelo aveva contratto con lui. La pretesa di Porcaro si basava solo sul fatto che io accompagnai Sirangelo e Filippo Morrone ad acquistare il veicolo».
«Parlando con Mazzei, che avevo conosciuto grazie a una segnalazione di un ristoratore di Cosenza, uscì fuori questa vicenda e siccome lui era interessato a rilevare la società di Filippo Morrone, che gestiva un lido balneare, non voleva che quest’ultimo appesantisse l’azienda comprando un’altra auto da rivendere immediatamente per saldare i debiti con Porcaro. Per estinguere il debito, ottenni un prestito di 5mila euro da Mazzei, somma che non volle restituita purché si chiudesse questa vicenda. Aggiungo – rispondendo alle domande dell’avvocato Michele Franzese – che Mazzei non ha mai usato violenza nei miei confronti e con lui ho sempre mantenuto buoni rapporti». La somma da restituire a Porcaro era di 15mila euro a fronte dei 37mila euro serviti per acquistare la macchina (12mila anticipati da Morrone e il resto tramite finanziamento della concessionaria), poi rivenduta a 19mila euro.
La vicenda quindi può essere così riassunta: Filippo Morrone acquistò un’auto per 37.000 euro, pagando un anticipo di 12.200 euro e finanziando il resto. Il giorno seguente la rivendette per 19.000 euro, generando un evidente danno economico alla propria azienda e mettendola in una situazione di insolvenza. Questo gesto sembrava finalizzato a evitare il pagamento del finanziamento. Mazzei, interessato ad acquistare le quote della società di Morrone, considerò l’operazione un danno personale, poiché l’azienda, da sana, divenne insolvente. Tuttavia, non poté agire per annullare la vendita, poiché i fondi coinvolti nell’operazione provenivano da un anticipo versato da Porcaro. La revoca avrebbe comportato la perdita di questi soldi.
Porcaro, per riottenere i 15.000 euro versati come anticipo e finiti a De Francesco tramite Morrone, intervenne direttamente. Secondo le testimonianze, Porcaro non agì su richiesta di Mazzei, ma per recuperare i propri soldi, arrivando a percuotere De Francesco.
Andrea Mazzei, prima della conclusione dell’udienza, ha reso dichiarazioni spontanee: «Filippo Morrone l’ho cresciuto come un figlio ma chiarisco che sono intervenuto in questa vicenda perché avevo un interesse nell’acquisto della sua società ed in effetti versavo 500 euro al mese ai fini della compravendita sulla base di un accordo intercorso tra noi. Chiarisco infine che questa contestazione mi pesa più delle altre, in quanto, signor presidente, io sono stato una vittima e non un estortore. Mi sottoporrò ad esame con l’intento di fare luce su tutte le cose che l’ufficio di procura mi imputa».
Al termine della seduta processuale, il collegio si è riunito in Camera di Consiglio per emettere una sentenza di proscioglimento nei confronti di Lauretta Mellone. La donna, imputata nel processo Reset, è deceduta dopo una grave malattia. La difesa, rappresentata dall’avvocato Amelia Ferrari, aveva insistito per una sentenza assolutoria visto il materiale probatorio emerso nel corso dell’istruttoria. Il presidente Carmen Ciarcia, una volta sentite le richieste delle parti, ha formulato le più sentite condoglianze ai parenti della defunta.
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