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      "Valle dell'Esaro", le difese su Presta: «Ha corretto il tiro dopo aver ascoltato tutto il processo»

      Le discussioni difensive hanno affrontato la questione relativa al collaboratore di giustizia. Il suo avvocato Claudia Conidi: «Si è pentito perché voleva riscattarsi agli occhi dei figli»
      Antonio Alizzi
      9 luglio 202511:43
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      "Valle dell'Esaro", le difese su Presta: «Ha corretto il tiro dopo aver ascoltato tutto il processo»

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      "Valle dell'Esaro", le difese su Presta: «Ha corretto il tiro dopo aver ascoltato tutto il processo»

      Manca soltanto un’udienza affinché il collegio giudicante del processo “Valle dell’Esaro” possa ritirarsi in Camera di Consiglio ed emettere la sentenza di primo grado contro una presunta associazione a delinquere dedita al narcotraffico. Un traffico di sostanze stupefacenti che, secondo la Dda di Catanzaro, sarebbe stato organizzato dalla famiglia Presta di Roggiano Gravina. Nella seduta processuale di oggi, le difese hanno affrontato, tra i vari argomenti, la questione relativa al pentimento di Roberto Presta, difeso dall’avvocato Claudia Conidi. La penalista di Catanzaro è stata la prima a prendere la parola in udienza (clicca su avanti per leggere la discussioni su Roberto Presta)

      Roberto Presta, i motivi del pentimento

      L’avvocato Conidi ha ribadito quali sono stati i motivi che hanno portato Roberto Presta a collaborare con la giustizia. «Lo ha fatto per i suoi figli che lo avevano sempre visto come un padre recluso, un padre fantasma. Non sono le accuse la causa di questa sua decisione, ma si è trattato di un problema di tempo, stretto in una morsa, intento a combattere un grave problema di salute e ha deciso così di riscattarsi finché è in tempo agli occhi dei suoi figli. Roberto era un trafficante di droga, aveva un ruolo apicale, ma gestiva la droga anche in proprio» ha detto l’avvocato Conidi nel suo intervento (clicca su avanti per leggere le discussioni su Giampaolo Ferraro e Marco Patitucci)

      Gli altri difensori

      Dopo l’avvocato Claudia Conidi è stata la volta del legale Andrea Caruso, difensore di Giampaolo Ferraro e Marco Patitucci. Il difensore di Roggiano Gravina ha approfondito i temi difensivi, evidenziando come l’istruttoria dibattimentale non abbia permesso alla procura antimafia di Catanzaro di portare nuovi elementi nel processo. Ferraro, ha sottolineato il penalista, non è il cosiddetto pusher della presunta piazza di spaccio di Acri, mentre Patitucci non fa parte dell’associazione, per come descritta nel capo d’imputazione dalla Dda di Catanzaro, essendo tra le altre cose vittima di gravi danneggiamenti come riportato nell’ordinanza cautelare. E per corroborare questa tesi ha citato principi giurisprudenziali che vanno in contrasto con ciò che è emerso in “Valle dell’Esaro“. Dello stesso avviso l’avvocato Domenico Brindisi, che assiste gli imputati Cristian Garita e Roberto Gallo. I sospetti, ha detto l’avvocato, non possono tramutarsi in prove (clicca su avanti per leggere la discussione su Massimo Orsino)

      La posizione di Massimo Orsini

      L’avvocato Maurizio Nucci difende Massimo Orsini, accusato dalla Dda di Catanzaro di essere uno dei presunti pusher più attivi nel comune di Roggiano Gravina. Il penalista, seguendo un ragionamento ampio e articolato, ha innanzitutto rilevato che Roberto Presta aveva il “compito” di concludere fatti rimasti a metà nella fase delle indagini preliminari, ma «questo non lo ha fatto». «Parliamo – signori della Corte – di un’associazione costruita dagli investigatori sulla base di contatti che non hanno valorizzato l’assunto accusatorio». Orsini, nel caso in esame, «non ha mai avuto contatti con gli imputati intercettati e il fatto che l’autolavaggio fosse un luogo di spaccio è stato smentito dai fatti», per non parlare del cosiddetto “stipendio” che non esiste. Il difensore Nucci ha anche dato, dal suo punto di vista, la giusta lettura rispetto a due intercettazioni, mentre tornando alle parole di Presta ha detto che «non sono da portare come riscontro perché risultano generiche», tanto da criticare anche l’operato della Squadra Mobile di Cosenza che non ha mai condotto indagini volte a dimostrare che quello che sentivano nelle cuffie fosse realmente vero (clicca su avanti per leggere le discussioni su Giovanni Garofalo e Raffaele Sollazzo)

      Gli imputati difesi dai Manna

      Dopo l’avvocato Nucci, ha discusso il legale Giuseppe Manna che insieme al padre Marcello, tornato ad esercitare la professione forese dopo la revoca della misura interdittiva, assistono gli imputati Raffaele Sollazzo e Giovanni Garofalo. «Le dichiarazioni di Presta non sono state precise come richiese la Cassazione e sul punto il collegio dovrà essere rigoroso in sede di valutazione». Poi è tornato sulla perizia depositata in dibattimento che dimostrerebbe come la voce inizialmente attribuita dalla Mobile di Cosenza a Giovanni Garofalo in realtà non sarebbe dell’uomo sottoposto a giudizio. «Nel suo caso parliamo davvero di lampadine e su questa cosa siamo stati puntuali, producendo la fattura».

      Il penalista ha poi criticato il fatto che la Dda di Catanzaro abbia contestato l’aggravante dell’agevolazione mafiosa del clan Presta che, giuridicamente parlando, non esiste. Stessa cosa dicasi per l’aggravante dell’uso delle armi »che in questo processo non ha trovato nessuno spazio». Parlando di subordinate, Manna ha prospettato eventualmente il quinto comma dell’art. 73, mentre per Raffaele Sollazzo ha sottolineato come nel capo d’accusa manchi addirittura la condotta e per questo ha chiesto, nelle more, la nullità del decreto che dispone il giudizio.

      A seguire la discussione di Marcello Manna che è ritornato sul discorso delle accuse della Dda di Catanzaro da completare in dibattimento correggendo quanto aveva detto il collaboratore Roberto Presta, il quale, dopo aver ascoltato tutto il processo, ha reso dichiarazioni in aula del tutto imprecise che sono diventate la patologia del processo “Valle dell’Esaro“. Ha richiamato la Cassazione quando parla di tassatività e tipizzazione delle condotte relative ai mezzi di prova, bocciando anche l’operato della polizia giudiziaria che, mentre ascoltava le intercettazioni, aveva il dovere di verificare se si trattasse di droga o effettivamente di lampadine. «Perché non sono andati a sequestrare la droga se erano certi che fosse quello l’argomento principale delle conversazioni?» si è domandato il penalista Marcello Manna. Ha poi parlato di Raffaele Sollazzo al quale viene contestato il fatto di aver parlato solo una volta con un suo parente e ha inoltre collegato quanto detto da Presta in altri procedimenti, come gli atti trasferiti a Salerno, dove avrebbe riferito «circostanza false che sono state totalmente smentite».

      Per la posizione di Giovanni Garofalo, le dichiarazioni di Presta «sono assolutamente non credibili» e ha contestato il fatto che la droga ceduta per amicizia non può essere circoscritta a un’associazione dedita al narcotraffico. «L’accertamento della prova in tal senso deve essere rigorosa, perché parlare tre volte al telefono con una persona non significa essere associati e tutto non può diventare reato» (clicca su avanti per leggere le discussioni su D’Agostino, Antonucci, Ciliberti, Cassiano e Diodati)

      D’Agostino, Antonucci, Ciliberti, Cassiano e Diodati: le singole posizioni

      L’avvocato Franco Angiolino, difensore di Rocco D’Agostino, ha chiarito che il suo assistito aveva un debito di carburanti con Antonucci, ribaltando la tesi della droga. Allo stesso modo ha criticato le parole di Presta che aveva parlato di mezzo chilo di cocaina venduta a D’Agostino. «Se così fosse, il valore complessivo supererebbe di molto il presunto fatturato della contestata associazione che come ha detto Presta si aggirava intorno a 50mila euro al mese».

      L’ultimo intervento di giornata è stato quello dell’avvocato Enzo Belvedere, difensore degli imputati Armando Antonucci, Francesco Ciliberti, Sergio Cassiano e Damiano Diodati. Preliminarmente il penalista ha stuzzicato la Dda di Catanzaro brava ad articolare le richieste di condanna presentando ai giudici carte di poco valore. «Un bluff se riconduciamo tutto al gioco del poker». Analizzando la posizione di Armando Antonucci, ritenuto dalla pubblica accusa quale uno dei presunti associati, il legale ha criticato la polizia giudiziaria relativamente al capo 24 dell’imputazione.

      Nel mirino un Rit, ovvero la mancata trascrizione di una captazione che in realtà dimostrerebbe ben altro rispetto a quanto sostenuto dalla Dda di Catanzaro. Si parla dunque di persone non imputate in “Valle dell’Esaro“, circostanza che l’avvocato Belvedere ha sottolineato più volte, invitando il collegio a sentire cosa si dice in quella conversazione. Ha poi aggiunto che, come scrive la Cassazione, i brogliacci non si possono utilizzare ai fini di prova. «Fa parte del famoso bluff». Poi ha ribadito che «ad Antonucci non è mai stato trovato un grammo di droga e viene descritto nei vari capi d’accusa quale il capo, il promotore, il pusher e lo spacciatore al minuto di questa presunta associazione. Ma se uno è capo, se ne va a lavorare prima a Brescia e poi all’estero, guadagnando mille euro al mese? Se uno è capo sta lontano cinque anni dalla sua terra d’origine e non si può permettere neanche di tornare a casa per Natale per la mancanza delle disponibilità finanziarie?» ha detto Belvedere.

      L’avvocato ha ricordato anche la famosa cena in una pizzeria-ristorante di Roggiano Gravina: «E vi pare che un summit si faccia tra amici senza la presenza dei presunti capi dell’associazione? Che summit è? Siamo a conoscenza di ben altri summit, lì si erano radunati solo amici che si frequentavano da anni e volevano portare a cena anche le rispettive famiglie e fidanzate». Inoltre, il passaggio su “Reset“. «Sappiate – rivolgendosi al collegio – che l’Armando di cui si parlava nell’ordinanza non è Antonucci, che per quel procedimento ha già avuto provvedimenti favorevoli prima da parte della Cassazione e poi dal Riesame». L’avvocato Belvedere su Presta ha evidenziato come il suo narrato sia privo di spontaneità, di genuinità e originalità.

      Per quanto riguarda la posizione di Francesco Ciliberti, il legale ha ripercorso le accuse della Dda e ha messo in evidenza il fatto che essere sposato con la figlia di Franco Presta non può essere un elemento indiziante. Tornando sulla cena a Roggiano Gravina, Ciliberti «non era presente». «Presta ha dichiarato che la droga dovevano prenderla da “noi“, ma se esisteva l’associazione doveva dire che l’acquistavano da tutta l’associazione, cosa ben diversa». Ciliberti, ha ricordato il penalista, non aveva bisogno di far parte di alcun contesto criminale perché proviene da una famiglia facoltosa che ha sempre lavorato nella sua vita.

      Infine, le posizioni di Sergio Cassiano e Damiano Diodati. «Cassiano non è mai stato fermato con un grammo di droga ed è senza dubbio un elemento significativo, i normali rapporti amichevoli sono stati scambiati con un giro di spaccio» mentre per Diodati «si parla di automobili dove le parole “convergenza, ammortizzatori e testine” non si possono in alcun modo equivocare, per non parlare, quando si evidenzia in senso accusatorio, che è stata consumata una gomma. Non è droga, parliamo di macchine, questo dicono le intercettazioni».

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      'Ndrangheta · Cosenza · Reset

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