Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
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Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
Cosenza, da Abruzzese a "Valle dell'Esaro": la genesi dell'inchiesta "Reset"
La prima udienza dibattimentale del processo “Reset” è durata circa cinque ore, nel corso delle quali la Dda di Catanzaro, rappresentata nel procedimento penale dai pubblici ministeri Vito Valerio e Corrado Cubellotti, ha escusso il vice questore Fabio Catalano, attuale capo della Squadra Mobile di Catanzaro, ma all’epoca dei fatti in servizio a Cosenza, e il colonello Raffaele Giovinazzo, già comandante del Reparto Operativo del Comando provinciale di Cosenza.
Il dirigente della polizia di Stato ha spiegato che le indagini, avviate dal pubblico ministero Camillo Falvo, oggi procuratore capo di Vibo Valentia, hanno riguardato inizialmente il gruppo degli “zingari” di Antonio Abruzzese, alias “Strusciatappine”, attraverso servizi di osservazione e pedinamento, nonché mediante l’attività intercettiva, che ha interessato anche la famiglia Abbruzzese “Banana” e in seguito il sodalizio degli italiani capeggiato dal boss di Cosenza Francesco Patitucci. Ma i primi approfondimenti, ha ribadito Catalano, sono stati effettuati sul clan di “Strisciatappine“.
Le investigazioni inoltre sono state supportate anche dalle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari dai collaboratori di giustizia, tutti fuoriusciti dai clan di appartenenza, operanti tra Cosenza e Rende. Attività captative estese poi a Pasquale Bruni, nel corso del quale emergevano i contatti con Salvatore Ariello, indicato quale “luogotenente” di Francesco Patitucci.
Chiuso rapidamente l’esame del vice questore Fabio Catalano, il collegio ha aperto al controesame delle difese. Domande incentrate inizialmente sulla “costola” del gruppo Presta, come evidenziato dall’avvocato Lucio Esbardo, difensore, tra gli altri, di Antonio Presta, imputato di Roggiano Gravina. «Il procedimento era focalizzato sulla cattura dell’allora latitante Luigi Abbruzzese», figlio di “Dentuzzo“, capo degli “zingari” di Cassano Ionio. «Il collegamento tra le due cose? C’erano personaggi “attenzionati”. Quali? Può rispondere a questa domanda il dottor Zanfini».
Poi è stata la volta dell’avvocato Gianluca Garritano. Il tema è quello della confederazione, che Catalano ha sostenuto che fosse iniziata nel processo “Tamburo“. Il legale però ha evidenziato che la sentenza di quel procedimento ha detto tutt’altro. L’avvocato Filippo Cinnante invece ha posto l’attenzione sulle posizioni di Giuseppe Perrone e Giuseppe Broccolo, chiedendo se all’esito delle escussioni dei pentiti fossero emersi elementi investigativi tale da concentrare le loro attenzioni su Perrone: «No, non sono emersi» ha detto il vice questore. Altra posizione trattata è quella di Antonio Bevilacqua, difeso dall’avvocato Giuseppe Malvasi.
Subito dopo l’avvocato Fabio Bonofiglio, legale di Francesco Casella. «Non ci sono state attività tecniche dirette sull’imputato» ha risposto il vice questore. Focus anche su Ivan Trinni, difeso dall’avvocato Fiorella Bozzarello: «Le attenzioni investigative? Iniziate dalle attività tecniche e proseguite a seguito delle propalazioni dei collaboratori di giustizia» ha detto Catalano, riferendosi a Pierluigi Terrazzano. Nessun elemento d’interesse investigativo su Cosimo Bevilacqua (1995), Andrea Carpino e Mario Trinni, difesi dall’avvocato Maurizio Nucci, che ha incalzato sul tema il dirigente Catalano. Su Antonio Colasuonno, difeso dall’avvocato Chiara Penna, non ha fatto attività tecnica.
L’avvocato Luca Acciardi, relativamente al procedimento “Valle dell’Esaro“, ha chiesto quali erano gli spunti investigativi da collegarli a “Reset“. «Nessun elemento nuovo, solo una lettura diversa», ha sottolineato. Poi l’attenzione del difensore si è spostata sui presunti capi. «Chi sono? Antonio Presta e Francesco Ciliberti», ma in realtà in “Reset“, viene indicato Franco Presta. «Le attività tecniche non ci dicono nulla su questa posizione, ma soltanto attraverso le parole dei pentiti» ha aggiunto Catalano.
L’avvocato Acciardi ha poi evidenziato un’inesattezza di fondo su Damiana Pellegrino, in quanto il teste ha sostenuto che la donna fosse anche in “Valle dell’Esaro“, ma in realtà non è imputata. Sulla presunta confederazione ha riferito che i due gruppi erano sempre in contatto, rispondendo a un’altra domanda dell’avvocato Acciardi. «Gli incontri erano stati accertati anche in “Testa di Serpente“, dove c’erano interessi tra Porcaro e gli Abbruzzese». Il controesame poi è proseguito sulla posizione di Francesco Patitucci: «Nessuno del gruppo Presta incontrò il boss dopo la sua scarcerazione». Poi una domanda sulla “bacinella unica”. «Cos’è? Una suddivisione degli introiti illeciti» ha dichiarato il teste. L’avvocato Acciardi ha altresì chiesto se qualcuno dei gruppi presunti confederati abbia mai portato somme di denaro a Patitucci. «Nelle investigazioni si parlava sempre di soldi, così come di accordi con altri sodalizi. Da lui andavano Illuminato, Mario Piromallo e Michele Di Puppo». Non ci sono intercettazioni su Cristian Ruffolo, ha detto Catalano, proseguendo nelle risposte alle domande poste dall’avvocato Acciardi.
SI è tornati poi su Francesco Patitucci, difeso da anche dall’avvocato Laura Gaetano. «Le attività tecniche si interruppero dopo la separazione coniugale con Rosanna Garofalo», in quanto il boss si spostò a Cosenza, ha detto il vice questore Catalano. «Successivamente alla separazione non sono emersi altri elementi su Rosanna Garofalo» ha chiarito il teste, rispondendo al legale Gaetano.
Il teste ha specificato di non aver condotto indagini su Andrea Reda (difeso anche dall’avvocato Mario Ossequio) e sugli altri componenti della famiglia, inseriti, dal punto di vista investigativo, nel cosiddetto “Gaming“. Sul fronte dell’ipotesi di narcotraffico, contestato alla famiglia Abbruzzese “Banana”, l’avvocato Domenico Caputo ha approfondito l’argomento in relazione alla posizione di Alessandro Stella: «Alimentava gli interessi del gruppo nello spaccio di droga. Come fu individuato? Solo da attività tecnica».
«Mai sentito parlare di Ernesto Campanile prima di “Reset“», ha affermato il vice questore, rispondendo all’avvocato Cristian Cristiano. «Era presente negli incontri censiti con Michele Di Puppo, Antonio Abruzzese “Strusciatappine“» e altri imputati, ma il cui contenuto non era conosciuto alle forze dell’ordine che indagano non essendoci stata attività captativa a supporto, risalendo in ogni caso a mesi antecedenti alle contestazioni mosse a Campanile. Il difensore ha fatto notare che a tal riguardo non esistono contatti diretti né sotto forma di incontri né di captazioni telefoniche e telematiche o ambientali tra Campanile e i vari Michele e Umberto Di Puppo, anche in relazione a percezione di denaro o altre utilità da parte dello stesso Campanile, come ha affermato anche il teste di pg.
E’ stata fatta anche un’attività di verifica in merito alle dichiarazioni degli ex pentiti Francesco Noblea e Marco Paura. La polizia ha deciso successivamente di non valorizzare quelle parole. Catalano, sempre in controesame, ha dichiarato che le indagini sul presunto gruppo “Di Puppo-D’Alessandro” sono durate quasi un anno e mezzo, ovvero dall’agosto 2018 a tutto il 2019.
Il tribunale dopo la pausa processuale ha rigettato la richiesta di inutilizzabilità delle intercettazioni riguardanti l’ex sindaco di Rende Marcello Manna.
Il tribunale di Cosenza ha nominato un perito per accertare o meno la capacità processuale di Cristian D’Ambrosio (difeso dall’avvocato Amelia Ferrari), figlio di Massimo, quest’ultimo imputato in ordinario anche per il reato di associazione mafiosa, nonché di valutare se al momento del fatto, ovvero dell’ipotesi delittuosa contestata al giovane disabile, lo stesso fosse capace di intendere e di volere, essendo stato già dichiarato invalido dall’Inps a causa di un serio problema di salute.
Massimo D’Ambrosio ha richiesto al tribunale di Cosenza di poter vedere per tre ore la moglie, Lauretta Mellone, imputata in “Reset“, in quanto la compagna di una vita è affetta da una gravissima patologia di tipo tumorale ed è sottoposta da tempo a radio e chemioterapia.
Dopo il vice questore Catalano, è stata la volta del colonnello dell’Arma dei carabinieri Raffaele Giovinazzo, ex comandante del Reparto Operativo di Cosenza, oggi a capo del Comando provinciale di Crotone. L’Alto Ufficiale dell’Arma ha iniziato il suo esame partendo dai dati documentali relativi alle precedenti sentenze che hanno interessato la ‘ndrangheta cosentina.
Tra le varie attività investigative svolte dall’Arma c’è anche la vicenda giudiziaria che coinvolte l’ex sindaco di Rende Marcello Manna e altri imputati di “Reset“, tutti presenti nel rito ordinario. Un esame durato pochissimi minuti, tanto che il collegio difensivo ha evitato di fare domande (clicca su avanti per leggere i nomi degli imputati)
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