‘Ndrangheta a Rende, per Adolfo D’Ambrosio sono solo “tragedie”
Lunga autodifesa durante il processo "Reset" con critiche feroci alle inchieste vecchie e nuove su mafia ed elezioni: «Una città rasa al suolo per niente»
È la cifra di ogni gruppo criminale, strumento imprescindibile per chi aspira a delinquere in modo organizzato. La cassa in cui confluiscono i proventi illeciti, in gergo “bacinella”, vale anche da prova e controprova: se c’è, ed è comune a più consorterie, dimostra l’esistenza di una confederazione. Una così, però, Adolfo D’Ambrosio sostiene di non averla mai vista, mai foraggiata. «Io non ho chiesto soldi a nessuno, non ho avuto soldi da nessuno. Mi sono mantenuto sempre da solo. L’unica bacinella che conosco è quella che uso per lavarmi i piedi».
Se manca l’armonia…
Comincia così, con una parodia, la lunga autodifesa di Adolfo D’Ambrosio che da almeno un decennio è considerato a capo della cellula rendese del clan Lanzino. Le sue dichiarazioni spontanee sono piovute copiose lo scorso 7 ottobre nell’aula bunker di Lamezia, in occasione del maxiprocesso “Reset” che lo vede imputato, ancora una volta, per associazione mafiosa. Stavolta in veste di confederato del gruppo criminale governato da Francesco Patitucci. Sul punto, il diretto interessato ha voluto tagliare corto: «Io non conosco nessuno – ha detto con riferimento agli altri imputati – Ho avuto qualche processo con sei o sette persone, Qua si parla che ognuno si vedeva i fatti suoi: io avevo discussioni con tizio, quello le aveva con caio, tutta quest’armonia che c’era in questa confederazione, la Procura me la deve spiegare».
Da Principe a Manna, parla Adolfo D’Ambrosio
Proprio alla Dda è dedicata buona parte delle sue invettive. Per gli investigatori, infatti, D’Ambrosio non è solo un gauleiter di Lanzino, specialista in estorsioni, titolare di un sottogruppo criminale oltre Campagnano. Da almeno un decennio a questa parte, lui è il grande vecchio della politica rendese, l’uomo che ha messo lo zampino in tutte le elezioni che contano, determinando i successi elettorali di Sandro Principe prima e Marcello Manna poi. Sul tema, il diretto interessato si è difeso in modo furioso: «Quando mi hanno arrestato nel 2014, manco sapevo che si votava a Rende. Principe poi è stato assolto e adesso verrò assolto pure io. Ora hanno lasciato a lui e hanno preso a Manna, che io neanche conosco come sindaco, solo come avvocato. Ero in carcere in Sardegna, potevo solo respirare l’aria, vorrei capire come ho fatto a influenzare un’elezione. Eppure, lasciato il primo processo, Sistema Rende, qualcuno, non contento, si è inventato il Sistema Manna».
Ecce homo
Si sente un perseguitato della giustizia, D’Ambrosio: «Ho l’impressione che non si è cercato di trovare l’uomo che commette un reato, ma si è cercato di trovare l’uomo e basta». Anche lui, come Piromallo, ha un modo underground per definire le accuse piovutegli addosso: «Hanno armato tragedie» dice degli uomini in divisa e di quelli in toga. Il suo riferimento è sempre mirato alle inchieste su mafia e politica, con menzione speciale per l’epilogo: «Hanno raso al suolo una città per niente». La sua linea difensiva è nel segno del negazionismo a oltranza. Mai commesso estorsioni, ad esempio. E giù tuoni e fulmini contro un pugno di intercettazioni che lo riguardano e che definisce, senza mezzi termini, «manipolate».
«Non comando neanche a casa mia» dice Adolfo D’Ambrosio
Ciò che respinge, più di ogni cosa, è l’etichetta inquisitoria che gli è stata assegnata, quella di capo promotore del gruppo criminale. «Capo di che? Io non comando neanche alla casa mia. E poi di nuovo come promotore? Ma promotore di che cosa, fatemi capire. Tutte le persone arrestate che dicono che erano del gruppo D’Ambrosio, lavorano tutte. Sono tutti lavoratori, chi è cuoco, chi è pizzaiolo, chi è sindacalista, ma di che cosa stiamo parlando? Secondo me non è una associazione confederata, questa è l’Assoindustria».
Processo abbreviato “Reset”, le richieste della Dda
- Antonio Abbruzzese (classe 1975), difeso dagli avvocati Giorgia Greco e Cesare Badolato CHIESTI 7 anni e 6 mesi
- Antonio Abruzzese alias Strusciatappine, difeso dall’avvocato Mariarosa Bugliari CHIESTI 14 anni
- Antonio Abbruzzese (classe 1984) difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Filippo Cinnante) CHIESTI 20 anni
- Celestino Abbruzzese, difeso dall’avvocato Simona Celebre CHIESTI 6 anni
- Fioravante Abbruzzese, difeso dall’avvocato Cesare Badolato CHIESTI 14 anni
- Francesco Abbruzzese, difeso dall’avvocato Antonio Quintieri CHIESTI 12 anni
- Luigi Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
- Marco Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
- Nicola Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
- Rocco Abbruzzese, difeso dall’avvocato Mariarosa Bugliari CHIESTI 12 anni
- Saverio Abbruzzese, difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Matteo Cristiani CHIESTI 10 anni e 8 mesi
- Gianluca Alimena, difeso dall’avvocato Emiliano Iaquinta CHIESTI 2 anni
- Claudio Alushi, difeso dall’avvocato Angelo Nicotera CHIESTI 18 anni
- Salvatore Ariello, difeso dall’avvocato Fiorella Bozzarello CHIESTI 20 anni
- Luigi Avolio, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Raffaele Brescia CHIESTI 10 anni e 8 mesi
- Ivan Barone, difeso dall’avvocato Rosa Pandalone CHIESTI 8 anni
- Giuseppe Belmonte, difeso dagli avvocati Filippo Cinnante e Gaetano Maria Bernaudo CHIESTI 8 anni e 2 mesi (clicca su avanti per leggere i nomi degli imputati del processo abbreviato di “Reset”)