Processo Reset, Erminio Pezzi: «Patitucci non mi ha mai chiesto di commettere reati»
L'imputato spiega che il boss di Cosenza, insieme a Di Puppo, Piromallo e D'Ambrosio, andavano a comprare prodotti caseari nel suo negozio in Sila
Il processo Reset, com’è noto, è un’importante indagine antimafia che mira a smantellare un presunto gruppo criminale operante nella provincia di Cosenza, considerato una vera e propria associazione mafiosa. L’inchiesta si è concentrata su reati legati al traffico di stupefacenti, estorsioni e altri reati associativi, con l’obiettivo di ripristinare l’ordine e la sicurezza pubblica colpiti dalla criminalità organizzata. Nell’ambito del processo Reset, diversi imputati hanno già rilasciato dichiarazioni riguardo alle loro posizioni, difendendosi dalle accuse e cercando di chiarire il loro coinvolgimento o estraneità rispetto ai fatti contestati.
I leader del gruppo Lanzino
Patitucci, uno degli imputati di spicco, ha contestato l’accusa di essere a capo di una confederazione mafiosa. Porcaro ha seguito una linea simile, sminuendo il suo ruolo nella commissione dei reati al fine di agevolare la cosca Lanzino-Patitucci. Ha quindi sottolineato come le sue interazioni con alcuni dei membri del gruppo fossero limitate a circostanze occasionali. Piromallo, noto per la sua vicinanza ad alcuni degli altri imputati, ha cercato di minimizzare la portata delle accuse, sostenendo che i rapporti con gli esponenti dell’associazione fossero di natura personale, senza legami con attività criminali interrotte, a livello di clan, con gli arresti di Vulpes.
Processo Reset, il casaro del boss
Nell’udienza del 7 ottobre scorso, anche Erminio Pezzi ha avuto la possibilità di rilasciare dichiarazioni spontanee. Erminio Pezzi, accusato dalla Procura di essere uno dei partecipanti dell’associazione mafiosa, ha difeso fermamente la propria posizione: «In questo processo non chiedo altro che emerga la verità, su tutto e su tutti. Ho un’azienda, sono un allevatore e gestisco un maneggio di cavalli. La mia attività è la prima nel suo genere, non lo dico per vanteria, ma lo confermano l’Associazione Allevatori e i documenti dell’ASL. Lavoro sin da quando avevo dieci anni, e ora mi accusano di essere l’organizzatore di questa presunta associazione».
«Voglio chiarire che non conosco nessuno del gruppo chiamato ‘Zingari’. Sfido la Procura a portare una sola intercettazione che dimostri che ho avuto contatti con queste persone o anche solo preso un caffè con loro. Con tutta Cosenza sotto controllo, non c’è una singola prova che mi leghi a loro», ha ribadito Pezzi.
Erminio Pezzi, al contrario, non si è nascosto dietro un dito parlando degli italiani. «Conosco Patitucci, Di Puppo, Piromallo e D’Ambrosio, ma solo per motivi personali e di lavoro. Patitucci è stato cliente del mio caseificio, così come Di Puppo, che veniva a comprare patate e verdure per la sua frutteria. Il fratello di Piromallo abita vicino al mio maneggio e portava i figli e i nipoti a fare un giro a cavallo. Nessuno di loro mi ha mai chiesto di fare qualcosa di illecito, e non avrei accettato, perché non ne ho bisogno», ha evidenziato l’imputato.
40 anni di lavoro
«Sono stato inghiottito da una rete che ha buttato la Procura di Catanzaro, sono stato inghiottito da questa rete, mi sento una vittima della giustizia, dove mi hanno sequestrato tutto, tutto il lavoro di 40 anni, mi hanno sequestrato azienda, mi hanno sequestrato il maneggio, mi hanno sequestrato i cavalli, mi hanno sequestrato le motoslitte, mi hanno sequestrato i terreni, che i terreni quelli dati in donazione di mio padre, dai miei zii, i terreni che ho comprato io», ha aggiunto Erminio Pezzi, imputato nel processo Reset, rito abbreviato.
«Erano tutti terreni di proprietà dei vicini che li ho comprati a quattro soldi, ma li ho comprati dai miei, dai miei sudori, quelli di mia moglie e quello di mio figlio. Mia moglie ha fatto le mani storte a stare nel caseificio, è stata quaranta anni dentro il caseificio e gli hanno sequestrato tutto, io adesso sto mangiando dal carrello, non mi possono fare neanche la spesa i miei figli, grazie alla giustizia italiana.
Erminio Pezzi ha ricordato al presidente Fabiana Giacchetti di stare da due anni in galera, «ma non mi interessa la galera, che la galera me la faccio, mi interessa sapere la verità, che venga fuori la verità su tutta questa confederazione che io non conosco, non lo so che cosa significa, perché io vi ripeto, non avevo bisogno».
Processo abbreviato “Reset”, le richieste della Dda
- Antonio Abbruzzese (classe 1975), difeso dagli avvocati Giorgia Greco e Cesare Badolato CHIESTI 7 anni e 6 mesi
- Antonio Abruzzese alias Strusciatappine, difeso dall’avvocato Mariarosa Bugliari CHIESTI 14 anni
- Antonio Abbruzzese (classe 1984) difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Filippo Cinnante) CHIESTI 20 anni
- Celestino Abbruzzese, difeso dall’avvocato Simona Celebre CHIESTI 6 anni
- Fioravante Abbruzzese, difeso dall’avvocato Cesare Badolato CHIESTI 14 anni
- Francesco Abbruzzese, difeso dall’avvocato Antonio Quintieri CHIESTI 12 anni
- Luigi Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
- Marco Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
- Nicola Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
- Rocco Abbruzzese, difeso dall’avvocato Mariarosa Bugliari CHIESTI 12 anni
- Saverio Abbruzzese, difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Matteo Cristiani CHIESTI 10 anni e 8 mesi
- Gianluca Alimena, difeso dall’avvocato Emiliano Iaquinta CHIESTI 2 anni
- Claudio Alushi, difeso dall’avvocato Angelo Nicotera CHIESTI 18 anni
- Salvatore Ariello, difeso dall’avvocato Fiorella Bozzarello CHIESTI 20 anni
- Luigi Avolio, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Raffaele Brescia CHIESTI 10 anni e 8 mesi
- Ivan Barone, difeso dall’avvocato Rosa Pandalone CHIESTI 8 anni
- Giuseppe Belmonte, difeso dagli avvocati Filippo Cinnante e Gaetano Maria Bernaudo CHIESTI 8 anni e 2 mesi (clicca su avanti per leggere i nomi degli imputati del processo abbreviato di “Reset”)