domenica,Luglio 13 2025

‘Ndrangheta a Cosenza, le “regole” del boss Francesco Patitucci

Dichiarazioni fiume rilasciate dal boss durante il processo "Reset" per scagionare gli altri imputati, chiarimento a distanza con Roberto Porcaro

‘Ndrangheta a Cosenza, le “regole” del boss Francesco Patitucci

Parte subito con un’ammissione: «Diciamo che, dopo Ettore Lanzino, ero quello che si dava di più da fare nel malaffare». Di una confederazione criminale nata e cresciuta a Cosenza sotto la sua guida, però, Francesco Patitucci, proprio non vuole sentirne parlare. «Ma quali confederazioni? Quale gruppo tiene Mario Piromallo? E quale gruppo personale tiene Adolfo D’Ambrosio? Signor presidente, quando si fanno questi gruppi e sottogruppi, in altre zone del Reggino e del Catanzarese succedono morti. Non lo dice Patitucci, lo dicono i fatti».

L’udienza di “Reset del 7 ottobre ha fatto registrare anche le dichiarazioni spontanee del principale imputato del maxiprocesso: le ennesime, ma nell’ambito di questo e altri processi, certamente le più lunghe e articolate. Si è trattato va da sé di un’autodifesa che, però, il diretto interessato ha esteso anche ai suoi presunti correi. Oltre a minimizzare le accuse che gli muove la Dda, ha speso più di qualche parola “dolce” per vecchi e nuovi compagni d’arme. Nella prima categoria rientrano Gianfranco Bruni e Gianfranco Ruà. Dell’altra fanno parte Mario “Renato” Piromallo, Michele Di Puppo, Salvatore Ariello e un Roberto Porcaro destinatario anche di un rimprovero.

«Quando sarà che Dio mi chiama…» dice Francesco Patitucci

Anzitutto le ammissioni. Patitucci ha provato ad accentrare su di sé tutta la mafiosità del caso, escludendo così quella degli altri.  «Io sono responsabile del 416 bis» ha sentenziato. «E se c’è un organizzatore sono solo io, i detenuti non c’entrano niente. Credetemi – ha chiesto ai giudici – non condannate persone che non c’entrano nulla, questo ve lo chiedo veramente con il cuore in mano: chi è detenuto, da tanti anni o da poco, non c’entra nulla con l’associazione mafiosa». La colpa di Alessandro Catanzaro, per dirne una, sarebbe stata quella di «tagliargli i capelli». Quella di Silvia Guido di averlo scelto come “confessore” per rappresentargli i suoi problemi coniugali con Porcaro. Il torto di Giuseppe Iirillo «quello di essermi venuto a trovare a casa». Altri come il «povero» Luigi Avolio, «mi hanno fatto qualche favore, un favoreggiamento, ma non che siano sodali o associati. Io questa colpa non me la posso portare con me, quando sarà che Dio mi chiama con lui». Più in generale, lo stigma, estendibile un po’ a tutti, sarebbe stato quello di essergli «amico». Un discorso che è entrato nel vivo quando si è parlato di Bruni e Ruà.

«Zero, zero e sottozero»

Patitucci ha ricordato come entrambi si siano autoaccusati della morte di Francesco Lenti e Marcello Gigliotti, escludendo la sua partecipazione a quel duplice omicidio del 1986. «Apriti cielo. Poveri loro, era stato meglio se non lo avrebbero detto. Perché dire la verità a volte costa cara. Io non c’entro nel duplice omicidio. Ruà e Bruni si trovano in questo procedimento per favoreggiamento e per falsa testimonianza. Non è vero niente: non mi hanno favorito. Perché va favorito chi ha commesso un reato e io non l’ho commesso. Io ero con venti persone a casa mia, ci sono due sentenze che affermano il contrario, ma sono certo che la verità verrà a galla».  

Riguardo a Bruni e Ruà, la Dda continua a considerarli alla stregua di capi promotori del sodalizio criminale, ma la loro inattualità, secondo Patitucci, è dimostrata dalla logica ‘ndranghetista. «Non me ne voglia Ruà, ma nel 1996, all’epoca criticato da tutti, anche da me, ha scelto la via della dissociazione. I rappresentanti dell’Accusa che sono in aula lo sanno molto meglio di me: un dissociato non può essere capo, sottocapo e né nulla. Zero, proprio zero sotto zero, non viene tenuto in considerazione. Non lo dice Patitucci questo, eh, lo dicono le regole ‘ndranghetistiche».

«Così dicono le regole»

Il richiamo alle regole oscure, a suo avviso, vale anche per Bruni. «Sono più anni che è stato condannato alla pena dell’ergastolo e anche se in passato ha ricoperto, non lo so con certezza, qualche titolo ‘ndranghetistico, nell’atto che è diventato ergastolano, la regola dice che per l’ergastolano le cariche ‘ndranghetistiche decadono tutte matematicamente. Padrino, Cavaliere di Cristo, Santisti, Sgarristi, tutte. L’ergastolano non viene messo a conoscenza di nulla, neanche a livello carcerario. Cerco di farmi capire: se in un carcere c’è un ergastolano definitivo e si vorrebbe affiliare un nuovo giovane nell’associazione, l’ergastolano non prende parte né viene messo a conoscenza. Non lo dico io, lo dicono le regole ‘ndranghetistiche».

Francesco Patitucci: «Fino all’ultimo respiro»

Il piatto forte, però, sono i suoi rapporti con Porcaro. «Mio amico, non lo posso negare» ha subito messo le mani avanti Patitucci.  «Persona a cui volevo bene e che mi ricambiava», ha aggiunto prima di cedere all’amarezza. La notizia del suo pentimento «mi aveva, diciamo, ucciso» ha ammesso il boss. «Non so perché l’abbia fatto, ma ho la certezza che il Porcaro si è inventato tante cose su di me perché ha pensato erroneamente che io avrei fatto qualche strategia con Ariello, Piromallo e Illuminato contro di lui. Se ha pensato questo è un fesso, tutta l’intelligenza che gli riconoscevo se l’è messa sotto i piedi. Perché io mai, mai, e dico mai, né contro Porcaro né con altri, non ho mai tradito un amico, mai armato un traggiro, mai fatta una sviolinata a una Forza dell’ordine. Non mi sono mai permesso. E fino all’ultimo respiro, questo non lo farò».

Processo abbreviato “Reset”, le richieste della Dda

  • Antonio Abbruzzese (classe 1975), difeso dagli avvocati Giorgia Greco e Cesare Badolato CHIESTI 7 anni e 6 mesi
  • Antonio Abruzzese alias Strusciatappine, difeso dall’avvocato Mariarosa Bugliari CHIESTI 14 anni
  • Antonio Abbruzzese (classe 1984) difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Filippo Cinnante) CHIESTI 20 anni
  • Celestino Abbruzzese, difeso dall’avvocato Simona Celebre CHIESTI 6 anni
  • Fioravante Abbruzzese, difeso dall’avvocato Cesare Badolato CHIESTI 14 anni
  • Francesco Abbruzzese, difeso dall’avvocato Antonio Quintieri CHIESTI 12 anni
  • Luigi Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
  • Marco Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
  • Nicola Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
  • Rocco Abbruzzese, difeso dall’avvocato Mariarosa Bugliari CHIESTI 12 anni
  • Saverio Abbruzzese, difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Matteo Cristiani CHIESTI 10 anni e 8 mesi
  • Gianluca Alimena, difeso dall’avvocato Emiliano Iaquinta CHIESTI 2 anni
  • Claudio Alushi, difeso dall’avvocato Angelo Nicotera CHIESTI 18 anni
  • Salvatore Ariello, difeso dall’avvocato Fiorella Bozzarello CHIESTI 20 anni
  • Luigi Avolio, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Raffaele Brescia CHIESTI 10 anni e 8 mesi
  • Ivan Barone, difeso dall’avvocato Rosa Pandalone CHIESTI 8 anni
  • Giuseppe Belmonte, difeso dagli avvocati Filippo Cinnante e Gaetano Maria Bernaudo CHIESTI 8 anni e 2 mesi (clicca su avanti per leggere i nomi degli imputati del processo abbreviato di “Reset”)

Articoli correlati