Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
Processo "Reset", le vecchie e nuove indagini sul gruppo Porcaro: il retroscena
La seconda udienza settimanale del processo “Reset” è stata dedicata nuovamente al gruppo Porcaro, al cui vertice ci sarebbe Roberto Porcaro, già “reggente” del clan degli italiani di Cosenza nel periodo di carcerazione di Francesco Patitucci, e poi pentito di essersi pentito. Oggi è detenuto al 41 bis. L’istruttoria è stata contraddistinta dalle investigazioni portate avanti dal militare dell’Arma, Massimo Spinelli, in servizio presso il Nucleo Investigativo di Cosenza. A condurre l’esame è stato il pubblico ministero Vito Valerio.
Nel corso dell’escussione, il teste qualificato dell’Arma dei carabinieri ha ripercorso le indagini sui soggetti che avrebbero orbitato nel sodalizio criminale. Uomini e donne che, chi per un motivo chi per un altro, avrebbero avuto a che fare con Roberto Porcaro, come ad esempio l’ex moglie Silvia Guido e i fratelli Turboli, Alberto e Danilo. Tanto per citarne alcuni.
Durante l’esposizione, si è parlato dei momenti intercettati dalla polizia giudiziaria, allorquando la Dda di Catanzaro aveva eseguito l’ordinanza cautelare dell’omicidio di Giuseppe Ruffolo. Quel giorno erano stati arrestati Massimiliano D’Elia, poi condannato in via definitiva, e proprio Porcaro, la cui posizione in seguito è stata messa in stand-by per l’assenza della gravità indiziaria.
Il teste è entrato nel vivo, evidenziando le condotte che avrebbero tenuto alcuni degli indagati, quali Armando De Vuono e Francesco Greco, pentito, nell’ambito di un atto intimidatorio a scopo estorsivo, di cui abbiamo dato conto in un altro servizio. De Vuono e Greco avrebbero posizionato la bottiglietta incendiaria. Dopo i carabinieri avevano ascoltato i titolari dell’azienda, situata nel comune di Montalto Uffugo.
L’ufficiale di pg si è soffermato anche su un’altra vicenda relativa a un passaggio di denaro in cui sono coinvolti diversi soggetti. Un capo d’accusa dove Porcaro agirebbe direttamente. Parliamo di un prestito che “Te Piasse” avrebbe fatto a un imprenditore di Luzzi per la somma di circa 70mila euro. Una contestazione comunque già trattata nelle precedenti udienze, così le restanti. L’altro capo presente nella rubrica imputativa riguarda un tentativo di estorsione ai danni di un imprenditore operante nel settore dell’abbigliamento uomo-donna con negozi situati nell’hinterland cosentino. Poi il pm ha fatto un passo indietro, ritornando sui 70mila euro, dove la Dda contesta il reato di usura a Porcaro e non solo.
In ultimo, il pm Valerio ha chiesto se nelle intercettazioni riguardanti gli imputati per tale reato si fosse mai fatto riferimento a Francesco Patitucci. Spinelli ha citato Perrone, attribuendogli la frase secondo cui il boss di Cosenza aveva dato parere negativo al prestito usuraio.
L’avvocato Filippo Cinnante è stato il primo a condurre il controesame. «Cosa ha detto la vittima sul presunto caso usuraio?» ha chiesto il penalista. «Con Perrone e Broccolo c’erano rapporti amicali, Perrone non aveva interesse nella vicenda, il suo intervento fu casuale» rifacendosi alle risposte della persona offesa. Giuseppe Perrone, mai citato dai collaboratori di giustizia, inoltre non avrebbe avuto alcun contatto Porcaro oltre alla questione sopraindicata. A seguire le domande dell’avvocato Angelo Pugliese: «Perrone e Broccolo sapevano di essere intercettati?», ha chiesto il legale. «No, assolutamente». Quando Broccolo disse a Porcaro di «non esagerare» (relativamente al sospetto prestito usuraio), il teste ha rimarcato il dato che «Broccolo era parente di Michele Di Puppo». Sul tentativo di estorsione, «Perrone e Broccolo (su cui avrebbero riferito alcuni pentiti) non attendevano Porcaro per andare al negozio», ha evidenziato Pugliese, circostanza pressoché confermata dal carabiniere.
Ancora su Perrone, ha posto domande l’avvocato Gaetano Maria Bernaudo, correlandole alla presunta usura e al tentativo di estorsione ai danni del titolare del negozio d’abbigliamento. «Nel tragitto dal Settimo Cafè all’esercizio commerciale, la voce di Perrone non si sente quasi mai, anche se non abbiamo contezza del fatto che si sia presentato al cospetto della vittima, mentre siamo certi che lo abbia fatto Porcaro». L’avvocato Domenico De Rosa, co-difensore di Alessandro Morrone, ha fatto emergere che nel 2020 il teste qualificato aveva sentito a sommarie informazioni l’imputato in qualità di vittima di una «asserita usura». Che poi diventa presunto partecipe della confederazione, essendo legato, secondo la Dda, al gruppo Porcaro.
L’avvocato Rodolfo Alfieri ha esplorato temi difensivi per la collega Rosa Rugiano, imputata con Porcaro e altri in un capo d’imputazione. La professionista è intervenuta in questa vicenda affinché i coniugi Russo ottenessero il Tfs il prima possibile. L’avvocato Matteo Cristiani, difensore di Armando De Vuono, ha ripreso gli argomenti trattati nell’esame. «C’erano telecamere di videosorveglianza in prossimità dell’azienda? Non saprei, all’epoca non avevo questo tipo di delega». Richieste estorsive? «Le persone offese escusse hanno dichiarato di non aver ricevuto alcuna telefonata. Porcaro come mandante? Perché Francesco Greco era molto vicino a lui, andava ogni sera a portare novità al boss». Ma ai carabinieri, secondo l’avvocato Cristiani, nell’anno 2017, sarebbe sfuggito il “mandato” di Porcaro: «Nonostante tutte queste intercettazioni, da dove si evince che Porcaro abbia dato l’ordine di posizionare la bottiglietta?» ha ribadito il legale. A quel punto si è inserito il tribunale collegiale per chiedere chiarimenti. Secondo aspetto trattato è il presunto tentativo di estorcere denaro al titolare di un allevamento di lumache nella Valle del Savuto.
Ed ecco che spunta il retroscena: ci sono in corso altre attività investigative su Porcaro, Greco e De Vuono, ancora coperte da segreto istruttorio. Ciò si inserisce nel prosieguo delle indagini che conduce la Dda di Catanzaro nel territorio cosentino. Elemento che il teste, rispondendo a una domanda dell’avvocato Cristiani, ha evidenziato per due volte. Il controesame è proseguito con l’avvocato Fiorella Bozzarello, difensore di Carmine Caputo, su cui ci sarebbero altre indagini, allo stato, coperte dal massimo riserbo. Insomma, per capirci, le inchieste antimafia sul gruppo Porcaro non sono affatto terminate. E probabilmente neanche sugli altri “sottogruppi”.
L’avvocato Luca Acciardi ha chiesto se vi siano stati rapporti in “Reset”, tra il gruppo Porcaro e il gruppo Presta. «Anche queste sono coperte dal segreto istruttorio, sulle evidenze non coperte da segreto istruttorio non ci sono contatti». Poi su Francesco Patitucci. «L’intercettato diceva che il boss avesse dato parere negativo. Ma Patitucci era detenuto?» ha domandato Acciardi. «Sì, ma il prestito usuraio è riferito dal 2015», ma l’intercettazione ha fatto notare l’avvocato «è del 2018» e «Patitucci era detenuto, perché Porcaro era libero» ha risposto il maresciallo Spinelli.
L’avvocato Acciardi ha fatto domande pure sul tentativo di estorsione al negozio di Montalto. «Si parla di Patrizia, ma Russo Antonio ha una sorella che si chiama Patrizia?» ha chiesto Acciardi. «Questo accertamento non è stato fatto, manca il certificato di famiglia originario». L’avvocato ha voluto aprire il fronte sul fatto che Patrizio Chiappetta, nipote di Patitucci, sia estraneo dal contesto criminale e che quindi non era «l’amico» a cui si riferiva Porcaro. Il penalista ha parlato di «errore, visto che le prove in favore dell’imputato non sono state inserite nell’informativa». Il pm Valerio ha respinto questa affermazione, ritenendola «grave». Alla fine gli accertamenti e il riconoscimento di tale Patrizia è stato fatto ed è contenuto agli atti del fascicolo, come ha ricordato l’avvocato Acciardi.
Il successivo controesame è stato condotto dall’avvocato Tanja Argirò. «Sono state captate conversazioni a casa di Silvio Guido in merito all’incontro avuto con Aurelia Braccioforte?» ha chiesto e il teste ha risposto di «no». Inoltre, l’avvocato Fabio Bonofiglio, difensore di Francesco Casella: «Nelle sue indagini vi è capitato di incontrare Casella con Porcaro o con altri sottogruppi?» ha domandato il penalista. «No» ha chiarito Spinelli.
In conclusione, l’avvocato Michele Franzese, difensore di Andrea Mazzei: «Non era nel nostro target, era attenzionato dalla Guardia di Finanza. I collegamenti con Perrone e Broccolo ci sono stati, ma il tutto è stato amalgamato nelle indagini delle Fiamme Gialle, ma con Porcaro non abbiamo registrato contatti». È emerso ancora che Porcaro non ha mai indicato Mazzei quale consulente finanziario che doveva espletare pratiche ad altri soggetti per conto suo. Dalla Danimarca, Mazzei aveva detto a Perrone di portare tutte le carte utili per mandare avanti la pratica del “Settimo Cafè“, (unica pratica contestata al professionista su oltre 600 fatte nell’ambito del presunto disegno criminoso), situato in viale Trieste a Settimo di Montalto Uffugo. Il bar ha aggiunto poi il teste, rispondendo all’avvocato Franzese, «era pieno di avventori, anche se io non ci sono mai stato». Il locale, almeno fino al 31 agosto 2022, era colmo di clienti, soprattutto la sera, dove c’era intrattenimento e ristorazione.
Nella prossima udienza si parlerà di Gennaro Presta, già condannato per associazione mafiosa e presunto membro del clan Abbruzzese “Banana”, e Gianluca Maestri, oggi pentito, che dal 2019 al 2022 avrebbe assunto il ruolo di “reggente” degli “zingari” insieme all’altro collaboratore di giustizia Ivan Barone.
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