Processo Reset, l'estorsione alla società che gestisce la mensa dell'Unical
Processo Reset, l'estorsione alla società che gestisce la mensa dell'Unical
Processo Reset, l'estorsione alla società che gestisce la mensa dell'Unical
Processo Reset, l'estorsione alla società che gestisce la mensa dell'Unical
Processo Reset, l'estorsione alla società che gestisce la mensa dell'Unical
Processo Reset, l'estorsione alla società che gestisce la mensa dell'Unical
Processo Reset, l'estorsione alla società che gestisce la mensa dell'Unical
Processo Reset, l'estorsione alla società che gestisce la mensa dell'Unical
Processo Reset, l'estorsione alla società che gestisce la mensa dell'Unical
Processo Reset, l'estorsione alla società che gestisce la mensa dell'Unical
Una presunta estorsione consumata ai danni della società che gestisce la mensa dell’Unical e tanti altri episodi contenuti negli atti del processo Reset. L’udienza odierna del procedimento penale contro la ‘ndrangheta cosentina è stata l’ultima del 2024. A fine seduta, il presidente Carmen Ciarcia ha formulato ai presenti i migliori auguri per le festività natalizie, estesi anche ai detenuti collegati in videoconferenza. Il tutto si è svolto presso l’aula bunker di Castrovillari, dove giovedì mattina ci sarà la lettura del dispositivo del presidente Fabiana Giacchetti, che presiede il rito abbreviato.
Il pm Corrado Cubellotti ha sentito come primo teste un sindacalista. «Conosco Massimo Bertoldi: me lo hanno presentato Gianluca Campolongo, un collega sindacalista, e Massimo D’Ambrosio, rappresentante RSU della Cisl. Riguardo al finanziamento intestato a Massimo Bertoldi per l’acquisto di un’auto, agimmo in questo modo perché c’era un problema: la pratica di Gianluca Campolongo non passava. Consegnavo a Bertoldi i soldi che mi dava il mio collega. Non ho mai chiesto spiegazioni a Campolongo sul motivo di questa situazione». Nel corso del controesame, l’avvocato Amelia Ferrari ha fatto emergere un’altra circostanza. «Il finanziamento passò successivamente da Massimo Bertoldi a Piero Bertoldi, con un atto notarile. Massimo D’Ambrosio non ha mai avuto un atteggiamento violento in questa vicenda. Credo si trattasse di un finanziamento per pagare un’auto, una Ford Kuga».
Un militare dell’Esercito, originario di Rende ma oggi in servizio a Udine, è stato chiamato a testimoniare subito dopo il sindacalista. «Nel 2019 ho chiesto un prestito a Massimo D’Ambrosio, che abita nel mio stesso edificio. Ho restituito 5mila euro a rate, ricaricando una Postepay mensilmente. Mi sono rivolto a lui perché lo conosco da tempo. Non so se prestasse denaro ad altre persone. Conosco anche sua moglie, ma non le ho mai chiesto soldi». Durante l’esame, si è parlato anche di Roberto Zengaro. «Lo conosco. Insieme abbiamo provato a ottenere un finanziamento, ma non andò a buon fine. Parlavamo anche al telefono, mentre conoscevo già da tempo Fabiano Ciranno da tempo: veniva sotto casa di D’Ambrosio, ma non ho avuto a che fare con lui, al massimo abbiamo preso un paio di caffè», ha aggiunto mentre era in corso il processo Reset.
«Avevo bisogno del prestito perché le banche non me lo concedevano a causa del mio contratto a tempo determinato di un anno. Ciranno aveva bisogno di soldi per comprare la cameretta per suo figlio e così provammo a fare un finanziamento con un garante: io avrei preso la mia somma e lui quella necessaria per l’acquisto», ha spiegato il militare.
In controesame, l’avvocato Amelia Ferrari ha parlato della possibilità di acquistare un telefono: «L’acquisto fu solo una proposta, avanzata per storicizzare la situazione in senso positivo. Ci furono due rigetti e un no per il finanziamento del telefono. Preciso che Massimo D’Ambrosio non ebbe alcun guadagno da questa vicenda. Non ho subito minacce per la restituzione delle somme, nemmeno dai figli di Adolfo D’Ambrosio». Anche l’avvocato Valerio Murgano ha posto domande al teste: «Nel 2019 ero nell’Esercito Italiano, e Massimo D’Ambrosio era a conoscenza del mio lavoro. Regalai un telefono a Cristian, suo figlio, perché suo padre era sempre disponibile con me».
Per la posizione di Roberto Zengaro è intervenuto l’avvocato Antonio Quintieri: «L’ho conosciuto tramite Massimo D’Ambrosio. Se non ricordo male, fu Zengaro a propormi un finanziamento con la Santander. Non ho avuto altri rapporti con lui e non mi ha mai chiesto denaro per questa intermediazione».
Dal militare al calciatore. L’esame dibattimentale è stato arricchito anche dalle dichiarazioni rese in aula da Massimo Volpentesta, un tempo difensore dalle movenze eleganti nelle categorie dilettantistiche calabresi. Nel processo Reset riveste sia il ruolo di imputato che di persona offesa. «Conosco Adolfo D’Ambrosio da quando giocavo a calcio, circa 15-20 anni fa. Simone Ferrise l’ho visto una sola volta, mi fu presentato da Stefano Marigliano. A Montalto ho acquistato da Ferrise circa 50 grammi di cocaina per 2.500 euro. La qualità della sostanza stupefacente non era buona, comunque non sono riuscito a restituire la somma. A quel punto Marigliano mi chiese il pagamento della parte rimanente e, non potendo saldare, si presero l’auto di mia sorella, che era al corrente dei miei problemi. Quel giorno andai a un appuntamento fissato da Marigliano ma insieme a lui c’erano altre due persone, che non conosco, le quali dopo 10 minuti, sono saliti in macchina, visto che le chiavi le avevo attaccate, e sono andati. Sono stato anche picchiato per l’impossibilità di restituire il denaro». Poi ha chiarito: «Con Adolfo D’Ambrosio non ci fu alcuna cessione di droga: lo conoscevo solo per il calcio. Mi pare di ricordare che all’epoca gestiva il campo di Villaggio Europa».
Inoltre, l’imputato-persona offesa ha ipotizzato che il pestaggio fosse stato organizzato da Marigliano e ha precisato che ha restituito il denaro tramite Pierpaolo Guzzo, con cui è stato arrestato in un’operazione antidroga della procura di Cosenza. Una volta restituito la cifra, l’auto venne riconsegnata. Volpentesta nell’inchiesta Fly ha patteggiato la pena. L’avvocato Ugo Ledonne, con una serie di domande, ha fatto emergere come il suo assistito, al netto dell’unico precedente presente sul casellario giudiziale, non era a conoscenza di alcun contesto criminale.
Nel Riesame del pm, l’imputato ha ricordato di essere stato picchiato prima dell’episodio relativo alla macchina. Nel dibattito tra accusa e difesa si è inserito anche il collegio con alcune domande.
In aula anche un agente penitenziario in pensione, il cui esame è stato brevissimo. «Conosco Massimo D’Ambrosio perché abita vicino a mia madre. Mi prestò 250 euro». Fine.
Il direttore della sedi calabresi della società che gestisce le mense scolastiche all’Unical e in altre parti della Calabria ha dichiarato di aver conosciuto «Aldo D’Ambrosio tramite un ex dipendente, Fabio Ciranno, e Massimo D’Ambrosio. All’epoca avevamo in gestione l’Università di Catanzaro e c’era bisogno di un lavapiatti. Questa richiesta venne da Ciranno, Adolfo e Massimo D’Ambrosio. Rispetto a questa vicenda non abbiamo mai subito minacce, ma Ciranno spiegò che queste persone avevano una certa caratura criminale, riferendosi ad Adolfo D’Ambrosio e Ivan Montualdista». Poi il pm Cubellotti ha inserito il tema del “pizzo”. «Ci venne detto che dovevamo fare un “regalo“, così racimolammo circa mille euro che vennero consegnate a uno dei soggetti».
Nel controesame dei difensori di Massimo D’Ambrosio, il teste ha detto che «Massimo D’Ambrosio non mi ha mai minacciato, né ricordo se fosse presente quando mi furono chiesti soldi». A seguire è stato sentito un altro dipendente della società che ha confermato sia l’aspetto relativo alle richieste di assunzione che delle somme di denaro elargite ai presunti criminali rendesi. «Alcune somme furono consegnate anche a Ivan Montualdista» e ha sottolineato di aver conosciuto Massimo D’Ambrosio «rappresentante della Cisl», mentre Fabiano Ciranno, nostro dipendente, mi chiese un “presente“». Infine, un altro dirigente del gruppo barese: Adolfo D’Ambrosio venne alla mensa per parlare con il direttore affinché aumentassimo le ore lavorative del figlio o lo trasferissimo vicino casa. Ero a conoscenza delle somme estorsive ma non ho voluto sapere niente di questa vicenda. Non ho avuto rapporti diretti con Massimo D’Ambrosio». Nel corso dell’esame è venuto fuori che «le richieste sindacali non furono mai evase».
A seguire, è stato sentito un teste per la posizione di Michele Castiglione, il quale «si limitava a cambiarmi qualche assegno», ha detto un volontario della Protezione civile di Bisignano. «Non conosco Massimo D’Ambrosio né l’ho sentito mai nominare». In conclusione, un imprenditore edile: «Non ho mai chiesto un prestito in vita mia. Conosco Massimo D’Ambrosio perché dovevo rifargli un bagno, ma poi non l’ho mai fatto e gli ho restituito i soldi». Prossima udienza del processo Reset a gennaio 2025.
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